Sabato sera ho dormito su una barca, in mezzo in una baia, e il suono delle onde non smetteva di portarmi alla mente Abzu: ho sognato i suoi fondali dai colori sgargianti, immaginando che a pochi metri sotto di me ci potesse essere un intero mondo all’opera, pronto ad accogliere i più pazienti e più coraggiosi con i suoi flutti seducenti. Anche il giorno dopo non ho potuto far altro che pensare al gioco di Giant Squid quando, sempre a breve distanza da me, un branco enorme di pesci saliva verso la superficie in un coreografico turbinio alla ricerca di un pezzo di pane. Dopo aver giocato ad Abzu è impossibile guardare il mare nello stesso modo: perché quello specchio blu così affascinante e cangiante, capace di comunicare calma e dopo pochi istanti incutere profondo rispetto e timore, è anche la porta di accesso a un mondo incantevole che Matt Nava ha rappresentato in una maniera sublime. Questa recensione è un po’ di parte, perché la mia storia d’amore con Abzu è iniziata alla gamescom 2015 (quella di tutta la redazione vorrai dire, ndKikko), ma vi assicuro che il viaggio sottomarino che da oggi potete fare anche voi comodamente seduti sulla vostra comodissima sedia è qualcosa di straordinario, a patto di amare e comprendere il messaggio che il mare è pronto a portarvi.
IO DAL MARE
Abzu, però, non è soltanto un viaggio tra le meraviglie sottomarine di un mondo al confine tra realtà e immaginazione, bensì un racconto che mette in relazione la profondità degli abissi con quella dell’essere umano. Il gioco di Matt Nava è una storia di cambiamento e trasformazione che ha a che fare con l’origine delle cose: si tratta di un vero e proprio mito di fondazione, che trae ispirazione dall’Enûma Eliš babilonese e si adagia sugli echi della storia per meravigliare, stupire e regalare una manciata di ore di pura sospensione e suggestione.
Abzu, pur nel suo essere stilizzato, è uno dei giochi più belli da vedere degli ultimi anni
DIVING SIMULATOR?
Abzu non è solo un walking simulator sottomarino, visto che la componente di osservazione etologica legata a doppio filo all’esplorazione non è l’unica ad animare la nostra avventura nelle profondità marine. A una narrazione essenziale, evanescente e simbolica, ma ben definita in termini di ritmo e di sequenze, si accompagnano anche alcuni momenti in cui bisogna interagire con l’ambiente per risolvere alcuni semplici, ma importanti, puzzle, e altri momenti in cui la componente d’azione è presente, sebbene in una chiave sorprendente; in questi istanti, dove il senso del pericolo riesce a sconfiggere anche la garanzia di non poter assistere a uno schermo nero che ci invita a riprovare, la nostra percezione di spazio e movimento viene radicalmente modificata. È proprio in quei frangenti che Abzu libera tutto il suo potere, e il suo messaggio di ricerca di libertà emerge con tutta la forza, facendoci riflettere in maniera consapevole e non banale anche su una serie di elementi che inizialmente sembrano poco chiari.
Le tre o quattro ore necessarie a compiere il viaggio sono un crescendo sorprendente e alternano fasi di esplorazione compassate alla ricerca dei tanti segreti nascosti sul fondo del mare a momenti decisamente più concitati e coreograficamente incredibili, quando le correnti decidono per noi il percorso da compiere e ci ritroviamo a danzare in maniera sublime fra migliaia e migliaia di pesci. Proprio come in Journey, ci sono sequenze dove lo spazio diventa quasi bidimensionale e veniamo letteralmente trascinati in posti meravigliosi, dove ci rendiamo conto delle dimensioni gargantuesche di alcune creature che abitano gli abissi e di quanto, in fondo, noi si è davvero piccini rispetto all’immensità del mare.
Anche senza utilizzare parole, Abzu ha tutte le caratteristiche di un racconto orale e offre infinite sfumature di interpretazione
Il senso di meraviglia, di scoperta e il vettore emotivo di cui il titolo di Giant Squid si fa fiero portatore è divinamente accompagnato dalle note di Austin Wintory, compositore oramai assunto al gotha dei musicisti per ciò che concerne le colonne sonore dei videogiochi e capace di tirar fuori temi splendidi che sono stati integrati nel gioco secondo una logica empatica che in più di un’occasione mi ha fatto pensare ai Grandi Classici Disney o alle Silly Symphonies. Sul fronte tecnico, poi, non si può far altro che lodare il lavoro di Matt Nava: in maniera del tutto coerente con il suo background, il talentuoso designer è riuscito a unire sotto l’egida di uno stile impeccabile sia la componente documentaristica della rappresentazione biologica corretta di fondali e specie, sia quella meramente artistica di un uso di colori e sfumature davvero incantevole. Il risultato è che Abzu, pur nel suo essere stilizzato, è uno dei giochi più belli da vedere degli ultimi anni e gli screenshot non danno giustizia allo spettacolo in movimento delle migliaia e migliaia di pesci che, a tratti, sono presenti a schermo (e che, solo in alcuni casi, hanno costretto la mia PS4 a qualche affanno). Un vero peccato, quindi, che non sia presente nemmeno un abbozzo di Photo Mode, che si spera verrà aggiunto in un prossimo futuro.
L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI ABZU
Abzu, come più volte ripetuto durante le varie anteprime, vuol dire oceano primevo, ma anche mare da cui nasce la vita, o fonte di saggezza. Riflettere sulla natura del nome è importante, perché ci dice molto anche sull’idea stessa alla base di un gioco che, oltre a investirci del compito di liberare alcune specie e ripopolare il mondo subacqueo, sottolinea in maniera netta il senso dell’avventura pensata da Matt Nava. Se, infatti, la prima run ci regala gli strumenti per cominciare a capire come funziona il mare e quali siano le sue leggi, è solo con la seconda e la terza che possiamo comprenderne tutte le sfumature. Al di là della possibilità di sbloccare una serie di spot di meditazione e goderci lo spettacolo della natura, infatti, è solo dopo diversi giri di giostra che saremo in grado di notare tutti i passaggi segreti e dare un senso all’intera vicenda. È per questo che Abzu è un titolo da godersi con tutta calma, senza l’ansia di arrivare alla fine, ma con la consapevolezza che, come nel più classico dei concetti mitologici dell’eterno ritorno, è possibile immergersi nuovamente tra le sue acque e scoprire qualcosa di nuovo o attribuire un senso diverso ad alcune suggestioni. Il mondo di gioco, d’altronde, non dimentica nulla e si ha sempre la sensazione che tutti i nostri passaggi aggiungano elementi di significazione, per un prodotto che si configura come araldo del pensiero mitico e si inserisce a pieno titolo in quella ristretta rosa di esperienze capaci di sfruttare tutto il potenziale artistico ed emotivo dei videogiochi.
È chiaro che per lasciarsi andare al flusso di emozioni che Abzu è in grado di regalare c’è bisogno di essere predisposti all’azione contemplativa, a meravigliarsi delle piccole cose e di abbandonarsi a un viaggio che può dire tantissimo, o anche niente. Secondo me vale la pena tuffarsi e amare ogni singolo momento passato in apnea, ma lo avrete già intuito dal tono di questa recensione e dal voto che trovate in calce. Chiudo con una nota di orgoglio: fa piacere che a credere nel progetto e a pubblicare il gioco sia stata 505 Games, divisione editoriale del gruppo Digital Bros, azienda che pur avendo un’anima internazionale, ha la sua sede qui in Italia.
Abzu è un gioco da amare, vivere e rivivere. Se Journey vi ha conquistato e commosso, la nuova opera di Matt Nava non mancherà di strapparvi momenti di stupore e farvi luccicare gli occhi. Il segreto sta nell’aver condensato in un videogioco tutti gli elementi propri del mito, ma anche e soprattutto aver calibrato tutti gli elementi affinché l’avventura sia leggibile su diversi piani espressivi. Se proprio c’è da trovare un difetto, questo è l’eccessivo ermetismo nel modo in cui i molteplici contenuti e le diverse possibilità sono comunicati, anche una volta finito il gioco, ma il concetto di didascalia non appartiene ad Abzu. Il titolo di Giant Squid è, invece, una lettera d’amore al mare, ai suoi paesaggi sottomarini e a un mondo che la maggior parte di noi vede, di solito, solo al cinema o nei documentari e che qui, finalmente, abbiamo la possibilità di vivere. Probabilmente, proprio come Journey, siamo davanti a un videogioco che non potrà essere apprezzato da tutti, ma chi lo farà non lo dimenticherà mai più.