Bloodhound – Recensione

PC

Maximis doloribus excruciar, abi in malam crucem. Ognuno ha la sua croce, direbbe qualcuno, ma Bloodhound, sviluppato dal team polacco Kruger & Flint Productions, non ha tempo per costringere qualcuno a portare la sua su un monte. In realtà, vuole vedere il mondo bruciare.

Sviluppatore/Publisher: Kruger & Productions / Flint & Kruger Productions Prezzo: 14,99 euro Localizzazione: Assente Multiplayer: Assente PEGI: + 18 Disponibile su: PC (Steam) Data d’uscita: Già disponibile

Brutta, brutta storia l’Inferno. Il mio personaggio su Diablo potrebbe scrivere un libro al riguardo. E lo stesso potrebbe farlo il Doomguy, che se c’è una cosa che fare molto bene, oltre a trucidare selvaggiamente qualcuno, è ammazzare pure nel fine settimana e appuntarlo nel taccuino. Ed è un po’ cos’è accaduto a me negli ultimi tre giorni con Bloodhound, uno sparatutto vecchio stile che strizza l’occhio a videogiochi come Wolfenstein, il buon Doom e pure Quake, per non farsi mancare nulla.

Se penso agli altri boomer shooter come Slayer X giocati nell’ultimo periodo, una parte di me auspica di vedere la remastered di Quake II prima di Natale – anche se faccio prima a sperare in un nuovo Sly Cooper per Ferragosto. La nostalgia è una canaglia, e ammetto di avere il bisogno fisiologico di opere di questo calibro. Ognuno ha il suo punto debole, che qualcuno chiamerebbe “Fetish”: il mio è un qualunque videogioco vecchia scuola nel raggio del mio campo visivo. Ognuno ha la sua croce, ripeto, e la mia è, purtroppo ma per fortuna, proprio questa. Con Bloodhound, infatti, è stato amore a prima vista. Lui, tanto lussurioso quanto blasfemo, mi ha sedotto con un trailer, conquistandomi infine in tutte le sue sfumature. E io, tontolone e accaldato dalle temperature estive, ci sono cascato. È bastato molto poco per ritrovarmi con una minigun nella mano destra, un fucile a pompa nell’altra e un numero di demoni fuoriusciti dalle fantasie più sfrenate di un folle. Così, di nuovo, le ho date, le ho prese e mi sono garantito una scomunica da Papa Francesco.

IL CALORE DEGLI INFERI

Se pensate di trovare una trama complesso o articolata in Bloodhound, potreste commettere un grande errore. La produzione, infatti, concentra molto più sul contesto, presentando un protagonista silenzioso che si ritrova a fronteggiare orde di demoni. È un membro dell’antica casta di guerrieri dell’Ordine dei Custodi dei Cancelli, che protegge il mondo dalla corruzione e dalla tirannia, con l’obiettivo di dare filo da torcere alle creature infernali che fuoriescono dai portali. Il canovaccio narrativo, infatti, si concentra su ispirazioni certamente già note, trattate diversamente dallo studio di sviluppo con sede a Varsavia. Il mondo intero è sull’orlo della rovina: dalle porte dell’Inferno, ormai totalmente spalancate, fuoriescono creature dell’incubo pronte a seminare panico e distruzione.

Giuro, non sono stato io.

Non è presente alcun dialogo, nessuna scena d’intermezzo e neppure delle spiegazioni che mettano chiarezza su cosa sta accadendo. Il contesto, tuttavia, resta affascinante e classico, con atmosfere sospese fra Doom e Quake, con un’identità comunque proprio. A differenza delle opere di id Software, Bloodhound raccoglie il merito di entrambe in fatto di atmosfere e ne ricrea uno ancora più violento e sanguinolento, in grado di spaventare e inquietare totalmente. Ben prima di essere uno sparatutto in prima persona, l’opera prima di Kruger & Flint Productions è un horror.

ORMAI BEN IDENTIFICATO NEL GENERE SPARATUTTO IN PRIMA PERSONA, L’INFERNO RIESCE AD AFFASCINARE PURE CHI NE HA VISSUTI PARECCHI

Nonostante il genere cui appartiene, si distanzia dai suoi dettami, seguendo uno stile preciso, non atipico o mai visto prima, eppure comunque interessante, perché cattura il meglio dalle produzioni da cui prende ispirazione, ma insegue una personalità invidiabile, oserei dire persino irraggiungibile. In tal senso, è un videogioco che non consiglierei mai di giocare a un credente – ma in realtà glielo consiglio eccome – soprattutto per il simbolismo al suo interno e l’utilizzo della croce e del pentacolo, oltre che di conosciuti simboli satanici da far rivoltare nella tomba addirittura il compianto Padre Amorth.

BLOODHOUND: QUANDO LO STILE E IL SANGUE COLPISCONO

Come accennavo prima, Bloodhound è uno sparatutto in prima persona dichiaratamente vecchia scuola, che abbraccia tuttavia il moderno attraverso un gunplay estremamente vivace e coinvolgente, ben strutturato e appagante per circa le cinque ore necessarie per concludere la produzione. Frenetico e veloce, l’opera bada al sodo e non perde tempo, e lo dico con ancora stupore, perché immaginavo un’introduzione. Invece, Kruger & Flint Productions ha puntato sull’immediatezza, ché non è mai brutta nel panorama videoludico, specie quando si parla di sparatutto in prima persona. Pur non distanziandosi molto da altre produzioni del genere, Bloodhound sorprende comunque, e segue una precisa linea che si dimostra vincente e originale, al netto delle contaminazioni inevitabili quando si parla di opere di questo calibro. Avendone giocate parecchie, sulla carta Bloodhound non propone nulla attraverso la sua struttura ludica. E invece, quasi come il brutto anatroccolo che si tramuta in cigno, dimostra tanta maturità pur essendo stato appena stato svezzato.

Due doppiette e tanta voglia di usarle.

Gli scontri avvengono in modo brutale nel pregevole level design costruito per l’occasione, e ogni combattimento è sempre diverso dall’ultimo, con un numero e una varietà di nemici vasta, capace di mettere in seria difficoltà. Inizialmente, si sarà armati di un revolver che a qualcuno potrebbe ricordare quello di Colton White, il protagonista di Gun, sviluppato da Neversoft. E man mano che si avanza nell’esperienza, di armi se ne possono sbloccare delle ulteriori, come la classica motosega ormai presente in quasi tutti i boomer shooter (indimenticabile lo sparachiodi di Quake, ripreso anche in Slayers X) e le doppiette, utilissime per sbarazzarsi dei nemici in tempi record. Il gunplay esalta, conquista e coinvolge allo stesso modo, del resto, seppure ben poche novità in termini di struttura di gioco.

POTRESTE NON FARE A MENO DI USARE LE DOPPIETTE IN OGNI MODO POSSIBILE E IMMAGINABILE

Proprio come i già citati capolavori di id Software, anche Bloodhound segue le sue principali fonti d’ispirazione, cosa che ha sempre fatto pure Wolfenstein, riuscendo nel suo obiettivo. E l’opera di Kruger and Flint Productions riesce a convincere proprio per questo, presentando una fluidità nel corso degli scontri che si fonda con la strategia necessaria per vincere i combattimenti. In basso sono presenti la vitalità, l’arma equipaggiata e il livello di corazza. I pezzi d’armatura sono sparsi ovunque, oltre a così tante munizioni da far impallidire un battaglione americano durante il D-Day. Oltre ai classici nemici normali da fronteggiare, ci sono anche dei boss poco incline al perdono, a differenza di Nostro Signore. Ogni combattimento con loro, basato sull’arguzia e la fortuna, si fonda su strategie da attuare per arrivare alla fine senza aver mai sudato. Anche se il caldo dell’Inferno di Bloodhound è totale, fastidioso e sferzante quanto la coda di Lucifero, la produzione vince, sorprende e dimostra tanta, tantissima maturità.

IL PERIODO D’ORO DEI BOOMER SHOOTER

Se dopo Slayers X pensavo che ci saremmo presi una pausa dal fenomeno del momento e se dopo altre produzioni simili come Warhammer 40,000: Boltgun credevo ci prendessimo una pausa, non avevo ancora fatto i conti con Bloodhound, che di personalità ne ha da vendere parecchia.

Comunque no, non è assolutamente l’Ohio.

Forte di un design particolareggiato, di una direzione artistica sospesa fra un villaggio dell’Ohio da liberare dal Maligno e la classica industrializzazione tipica di alcune aree degli Stati Uniti, l’opera conquista per il suo grado di sfida anche a un livello moderato – quello scelto per l’occasione. Nonostante s’ispiri a molte opere già celebri, Bloodhound arriva allo scopo, dimostrandosi una produzione diretta, sincera e con tanto, tantissimo cuore. E al netto delle tante contaminazioni, affascina e alleggerisce, nonostante le tematiche contenute al suo interno e il modo utilizzato per farle arrivare al giocatore.

BEL POSTO L’OHIO, ANCHE SE NON MOLTO ACCOGLIENTE

C’è il sangue, che è ovunque e si propaga. C’è il Diavolo, che non si può contrastare. E c’è il classico Van Helsing senza voce che però, in un modo o nell’altro, deve arrivare alla fine del mese. E ci arriva eccome, anche più di Padre Amorth. Ecco, come non detto: un’altra scomunica.

In Breve: Coinvolgente, ben strutturato e forte di un contesto interessante, Bloodhound arriva all’obiettivo senza troppi fronzoli. Kruger & Flint Productions ha sviluppato un’opera che potrebbe ricordare i primi Doom e Quake II, ma presenta un lato originale che arriva allo scopo, costringendo ad affezionare. Anche se avrei gradito un maggior approfondimento sulla storia e qualche scena d’intermezzo per far capire il contesto in modo più particolareggiato, l’opera è riuscita ad appassionarmi. Anche se ora, ripeto, mi sono assicurato una scomunica.

Piattaforma di Prova: PC
Configurazione di prova: Processore AMD Dual-Core A9-9420, 12 GB di RAM, AMD Radeon R5 Graphics
Com’è, Come gira: Ottimamente, tant’è che non ho avvertito alcun genere d’intoppo. Non ci sono stati bug o interruzione. Un FPS a tutto tondo, non c’è che dire.

 

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Pro

  • Un contesto denso e infernale / Atmosfere originali e ben proposte / Una struttura ludica che funziona e coinvolge

Contro

  • Forse toppe ispirazioni / Qualche livello in più avrebbe giovato all'intera produzione
8.3

Più che buono

Cosa succede se unite letteratura, tanta curiosità e un mix letale di videogiochi indipendenti e di produzioni complesse? Otterrete Nicholas, un giovane virgulto che scrive tanto e vuole scrivere di più. Chiamato "Puji" ben prima di nascere, dovete dargli una penna per tenerlo calmo. O al massimo un pad.

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