“Quando sono tornato a Santa Monica abbiamo cercato di capire cosa avremmo voluto fare. Non volevamo soltanto un altro gioco di God of War, perciò sapevamo che il solito vecchio Kratos, l’uomo rabbioso e pazzo, non avrebbe funzionato. Allora ho iniziato a pensare: e se avesse avuto una seconda possibilità?”
Sviluppatore / Publisher: Sony Santa Monica Studio, Jetpack Interactive / PlayStation Studios Prezzo: 49,99€ Localizzazione: Completa Multiplayer: Assente PEGI: 18 Disponibile Su: PC (Steam), PS4, PS5 Data di Lancio: 14 gennaio (PC)
Ero convinta, finché non mi sono seduta con la schermata bianca di Word davanti agli occhi, che scrivere questa recensione sarebbe stato un compito da archiviare in poche ore, comprese di stesura del testo e selezione delle immagini più belle catturate durante le ore di gioco. In fin dei conti si tratta di un port per PC di un titolo uscito quattro anni fa, di cui si è parlato in lungo e in largo e di cui in tanti hanno minuziosamente sviscerato ogni singola parte fino al midollo, ben prima di me. E invece sono rimasta ferma per un bel po’ a fissare il foglio vuoto, indecisa. Non perché su God of War non ci siano ancora fiumi di parole da poter spendere – al contrario – ma per un concetto in particolare che mi preme sempre sottolineare ogni qualvolta che mi capita di discutere di questo reboot, che non è esattamente facilissimo da buttar giù, specie di questi tempi, e che va al di là dei tecnicismi tipici di analisi di questo genere: God of War non è IL gioco perfetto (d’altronde, quale lo è?), quanto più la perfetta somma di tantissime parti diverse intagliate con premura e incastrate sapientemente in un imponente mosaico dalle esperte mani di Santa Monica Studio, in un momento non facile per il team e tra mille difficoltà, sacrifici e ritardi sulla tabella di marcia.
Ed è esattamente per questo che, come sottolineò chi prima di me scrisse la recensione originale per PS4, credo fermamente che non ci sia nessun motivo per cui non dobbiate farlo vostro il prima possibile, men che mai ora che Kratos si è finalmente liberato dalle catene dell’esclusività e che è pronto a farsi conoscere anche da chi non ha mai posseduto una console di casa Sony. Se non avete mai avuto la possibilità o la voglia di farlo, cogliete questa occasione al volo. Può essere anche che qualcosa non vi andrà giù bene come dovrebbe ma è davvero difficile che, posato il pad per l’ultima volta, quest’opera non vi lasci dentro qualcosa di davvero grande.
GOD OF WAR’S SECOND CHANCE
“Fare un reboot non è facile come può sembrare”, racconta Shannon Studstill durante i primissimi minuti di “God of War – Raising Kratos”, il documentario prodotto e pubblicato da Sony un anno dopo il rilascio di God of War su PS4, che ne racconta la tortuosa produzione (e che vi consigliamo calorosamente di guardare, ma solo dopo aver raggiunto i titoli di coda del gioco!). È anche vero, però, che il cambiamento è sempre possibile e può cominciare in vari modi, scombinando mattonelle già in nostro possesso o alternandole con delle nuove. Ad esempio, può iniziare dal trasferimento del team Santa Monica Studio in un nuovo ufficio a Los Angeles dopo lo stop alla realizzazione di una nuova IP, oppure dal ritorno nella compagnia di Cory Barlog con una nuova prospettiva, quella di padre e marito. In circostanze come quelle appena descritte era impossibile che proprio Kratos – scelto come punto fermo dal quale muovere nuovamente i primi passi – rimanesse invece immobile, fossilizzato nel suo passato. Ecco quindi che anche a lui viene concesso ciò che forse ai più sarebbe sembrato impossibile, ovvero di impacchettare quei pochi preziosissimi averi e di trasferirsi lontano.
Dai miti dell’antica Grecia, lo studio californiano volge coraggiosamente il suo sguardo verso quelli Norreni e il risultato, dal punto di vista non solo visivo ma anche narrativo, è sbalorditivo. La terra calpestata dal Fantasma di Sparta si trasforma, diventa a tratti fredda e ostile, ma anche luminosa e accogliente, fino a mutare ancora in luoghi aridi, inospitali, di morte. Allo stesso modo, il nostro (anti)eroe trova nuove motivazioni per andare avanti in quel figlio, Atreus, al quale per anni non ha dedicato che frammenti del proprio tempo, e nell’ultima missione affidatagli da Faye, moglie improvvisamente scomparsa.
DIETRO A GOD OF WAR NON C’è SOLO LA STORIA DI KRATOS E ATREUS, MA ANCHE UN PREGEVOLE LAVORO DI RICOSTRUZIONE DEI MITI
SALTO NEL VUOTO
Per completare un cambiamento così importante, è indubbiamente necessaria una buona dose di fiducia in sé stessi e nel proprio pubblico. Per il team di Santa Monica Studio questo ha significato abbandonare il sentiero già battuto, specie per quanto riguarda il gameplay, con la speranza che i fan accogliessero e apprezzassero questa nuova direzione. God of War si trasforma, quindi, allontanandosi dai capitoli precedenti e allineandosi ai più moderni franchise action-adventure in terza persona senza però farne una questione di pura formalità. Dietro all’abbandono del button mashing selvaggio, che ben si sposava con la rabbia e la sete di vendetta del Fantasma di Sparta, per un più metodico combattimento a suon di pugni e calcolate sferzate d’ascia (quell’ascia del Leviatano che porta a tristi ricordi, vista la scomparsa del suo creatore) sembra infatti esserci quasi il voler infondere un maggior senso di controllo e misura non solo a Kratos ma anche allo stesso giocatore. Ed è a questo nuovo approccio al combattimento che si sposa meglio l’aggiunta più di peso di God of War, ossia quella del giovane Atreus che diventa quasi immediatamente un alleato in battaglia e non solo un inerme compagno di viaggio.
GLI OBIETTIVI SECONDARI E L’ESPLORAZIONE SI AMALGANO CON NATURALEZZA ALL’INTERNO DELL’AVVENTURA PRINCIPALE
UN NUOVO KRATOS
Proprio da queste interazioni nasce quello che è in tutta probabilità l’aspetto più profondo e intrigante del nuovo God of War. Nemmeno i più sfegatati fan dei feroci primi capitoli della serie potrebbero mai negare l’incredibile passo avanti portato dal nuovo cast di attori, che hanno potuto dimostrare tutte le loro abilità grazie all’uso di un magistrale motion capture e dalla riproduzione minuziosa di animazioni facciali che ancora oggi riescono a tenere il passo con gli ultimi illustri esponenti del panorama AAA. Tutti, a partire da un giovanissimo Sunny Suljic nei panni di Atreus, riescono nell’impossibile compito di infondere ai loro personaggi quella scintilla di umanità che permette ai giocatori di immedesimarsi contemporaneamente in umani e dèi e farsi trasportare in un mondo vivo e colmo di sorprese che attendono solo di essere portate in superficie.
impressionante il lavoro fatto dagli attori nel donare umanità ai personaggi
IMMORTALITÀ
Fortunatamente per noi, non è la perfezione la chiave per sopravvivere al passare del tempo e per rendere un gioco immortale. Come detto in apertura di recensione, è l’insieme delle singole parti a fare la differenza e a rendere God of War un’opera degna di essere giocata nel 2018 così come nel 2022 e nel prossimo futuro, specialmente ora. Slegata dalle limitazioni hardware della console, è finalmente libera di girare meglio che mai sui PC di ultima generazione, a un framerate alto e stabile, vantando anche il supporto alle tecnologie DLSS e FidelityFX Super Resolution, che permettono anche ai computer di fascia media di godersi il titolo ad alti fps. Certo, il fatto che alla base ci sia un gioco pensato originariamente per una console della scorsa generazione agevola il raggiungimento di prestazioni solidissime (la pecca più grande della versione originale su PS4), ma non si può comunque negare l’impegno messo in atto da Santa Monica Studio per far brillare il proprio gioiellino anche “fuori di casa”, persino tra le mani degli irriducibili sostenitori di mouse e tastiera.
Tutto ciò che si può desiderare di più da un gioco simile, ormai, lo si deve guardare in ottica dell’imminente sequel, già in sviluppo e attualmente previsto per il 2022. Sarà compito di Ragnarök, per quanto possibile, superare quanto ottenuto quattro anni fa: migliorare la varietà dei nemici e soprattutto dei miniboss, agevolare gli spostamenti rapidi sulla mappa e smussare quei dettagli ancora non del tutto levigati, come il posizionamento di sfide e drop da mid/late game in sezioni iniziali del gioco (che possono persino spoilerare alcuni dettagli della storia in modo improvviso e decisamente non gradevole) o un più intelligente adattamento delle animazioni degli attacchi di Kratos in relazione all’ambiente circostante. E, perché no, anche investire in ciò che è stato giusto menzionato dal Senior Sound Designer Daniel Birczynski durante un panel al Digital Dragon 2018, ma che viene evidenziato ancor di più nello stesso documentario “Raising Kratos”: un processo di sviluppo meno incline all’accettazione passiva del sacrificio personale e del burnout da parte dei singoli membri del team, che sleghi finalmente la buona riuscita di un’opera videoludica da leggi e concezioni del mercato che, ormai, dovremmo tutti imparare a lasciarci alle spalle.
In Breve: God of War è l’esempio lampante per cui condensare un intero discorso in un singolo valore numerico è più detrimentale che mai. Perché il peso di un’opera come questa va ben oltre la varietà dei nemici o le imperfezioni tecniche. Ha a che fare con un certosino lavoro di scrittura e design, con l’immensa interpretazione di Judge, Suljic e il resto del cast e, perché no, anche con questo nuovo fantastico trend di esclusive PlayStation che esclusive più non sono. Che siate cultori della serie originale o novelli dèi della guerra, poco importa: dategli una chance, difficilmente ve ne pentirete.
Piattaforma di Prova: PC
Configurazione di Prova: AMD Ryzen 5 5600X, 16GB RAM, RTX 3070, SSD
Com’è, Come Gira: La configurazione in descrizione ha retto egregiamente una prova al massimo delle potenzialità offerte, senza vacillare. Un peccato per gli occasionali momenti in cui la qualità delle texture e il leggero flickering delle luci tradiscono la vera età di God of War.