Star Ocean: Integrity and Faithlessness - Recensione

PS3 PS4

Che Star Ocean: Integrity and Faithlessness sia nato come il tentativo disperato di riportare la serie sui binari della decenza – dopo il deludente quarto episodio e l’abbandono di Yoshinori Yamagishi, il creatore della saga – credo fosse chiarissimo fin dall’annuncio sulle pagine del magazine giapponese Famitsu. Quel che non ci si poteva aspettare, in barba ad ogni previsione, è che questo quinto capitolo finisse per rappresentare il punto d’arrivo, una silenziosa morte ai danni della serie sci-fi per eccellenza dell’allora Enix. Possiamo dare l’ultimo e definitivo saluto al franchise di Star Ocean o, perlomeno, alla sua credibilità.

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gli evocativi panorami naturali vantano un’ampiezza considerevole

Non capisco come tri-ACE sia passata da titoli d’ampio respiro come Star Ocean 2 e Valkyrie Profile, durante l’epoca PS One, a co-sviluppare lo spin-off (di dubbio valore) del tredicesimo episodio di Final Fantasy e a produrre questo “Integrity and Faithlessness”, un’iterazione che vorrebbe strizzare l’occhio al passato della serie su Super Nintendo, ma che si dimostra sommaria e mal realizzata in ogni suo aspetto. I protagonisti, veri e propri cliché bipedi, sono talmente bidimensionali da risultare incapaci di distaccarsi, anche solo sommariamente, dal loro ruolo prefissato (sì, anche la conturbante Fiore, a dispetto dell’outfit provocante, è parecchio insipida), mentre la storia è vera e propria ripetizione in fast forward di situazioni già viste nel primo e nel terzo capitolo della serie. Non aiuta la totale – o quasi – assenza di scene cinematiche atte a raccontare gli eventi con un minimo di pathos, lasciando filtrare gran parte della narrazione attraverso dialoghi che sanno di “già sentito” recitati durante il peregrinare nelle vaste aree che separano una città dall’altra.

UNA SPACE OPERA NON MOLTO SPACE

La scelta di non abusare di un linguaggio cinematografico era alla base dello sviluppo di questo quinto capitolo, il cui obiettivo finale era offrire “un’esperienza di gioco focalizzata sul gameplay”. Dal non raccontare una storia a raccontarla male, tuttavia, ce ne passa e allora tanto valeva rivedere le modalità che consentono di raggiungere un obiettivo tanto nobile: permettere di muoversi all’interno di aree circoscritte durante dialoghi obbligati, non skippabili, potendo scegliere fra una serie di animazioni emoticon stile MMO, senza che queste abbiano effetti al di là di quelli estetici (e surreali), non è esattamente l’approccio rivoluzionario che mi sarei aspettato dal team che introdusse il voice acting nei J-RPG per SNES e propose Star Ocean 3 su PS3 in progressive scan.

Rimangono le Private Actions, ovvero i caratteristici eventi opzionali della serie

Per quanto mal scritta, la storia di Star Ocean 4 conservava almeno tutto il sapore di quella space opera tanto agognata dai tri-ACE ai tempi del debutto su Super Nintendo, con tanto di pianeti differenti da esplorare e la possibilità di personalizzare la propria nave spaziale. Per questo “ritorno alle origini”, i creativi giapponesi hanno preferito limitarsi a seguire le vicende sullo sfondo di un unico pianeta, fra evocativi panorami naturali dall’ampiezza considerevole e incursioni in navi spaziali e laboratori segreti alla ricerca della risposta che si dietro l’identità della misteriosa Relia, una bambina dalle capacità sovrumane che si unisce ai due protagonisti durante le prime battute di gioco e attorno cui ruota l’intera vicenda.

Rimangono le Private Actions, ovvero i caratteristici eventi opzionali della serie che mostrano retroscena e offrono dettagli relativi alle personalità dei protagonisti. Attivabili in città, in prossimità delle locande, i dialoghi che scaturiscono da questi eventi addizionali possono influenzare il rapporto d’amicizia fra Fidel, il protagonista principale, e i compagni sbloccando così effetti supplementari e aggiungendo eventi narrati sul finire dell’avventura, un po’ come succedeva in Star Ocean 3. Le Private Actions rappresentano l’unico momento di interazione consentito promuovendo l’aspetto delle relazioni intraparty, del tutto assente nella sceneggiatura degli eventi principali davvero troppo concentrata nel suo proseguire a tutta velocità verso l’epilogo.

Se non altro, Star Ocean: Integrity and Faithlessness, si riconferma un titolo tri-ACE quando si guarda all’offerta ludica, alle sonorità proposte (inconfondibile Motoi Sakuraba) e ai passi avanti compiuti nell’ottimizzazione tecnica di un sistema di scontri che si fregia dell’assenza della benché minima attesa fra l’esplorazione e i fendenti della lama dell’anonimo spadaccino dai capelli blu proposto in questo capitolo. Le battaglie prendono vita direttamente sulla mappa – delimitando la zona percorribile fino alla fine dello scontro entro un’area circolare – e vedono attivi tutti i membri del gruppo utilizzabili, fino a un massimo di sette combattenti in azione contemporaneamente. Una cifra inedita che dà origine al caos assoluto degli scontri localizzati nelle fasi avanzate di gioco, quando le tecniche disponibili inscenano veri e propri spettacoli di luci ed esplosioni e la lettura dell’azione diventa praticamente impossibile. Purtroppo, questo fenomeno finisce spesso per indurre al button mashing forsennato, nella speranza che la concatenazione di colpi deboli e forti possa portare alla vittoria in quel marasma di grida, esplosioni e luci vorticanti.

BUCOLICA ESPLORAZIONE SPAZIALE

A differenza del recente Tales of Zestiria, che proponeva idee simili, la telecamera ruotabile di Star Ocean: Integrity and Faithlessness raramente ha dato problemi consentendo di seguire agevolmente l’azione sul campo di battaglia, e il sistema di bonus sommabili aggiunge notevole profondità a ogni schermaglia.

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le tecniche disponibili inscenano veri e propri spettacoli di luci ed esplosioni

C’è da dire che, anche in questo caso, il quinto episodio non propone nulla che non si sia già visto in passato, ma il risultato è tutto sommato apprezzabile: la reserve gauge, una barra posta a destra dello schermo durante le battaglie, permette di sommare bonus relativi alla collezione di monete, esperienza e SP, i tre valori fondamentali su cui su basa il complesso sistema di crescita dei protagonisti. Il riempimento dell’indicatore è subordinato alla qualità della performance del giocatore, e premia i più virtuosi con notevoli quantità di esperienza, SP e monete bonus nel caso non si finisca mai atterrati sul campo di battaglia o non si faccia uso dei Reserve Rush, i tipici “super colpi” dei protagonisti dei J-RPG.

Come sempre, tri-ACE propone un sistema di gioco che premia la vera abilità di chi impugna il joypad, senza trincerarsi dietro a pratiche sommarie e pigre come l’obbligo di grinding (in questo capitolo praticamente assente se ci si limita a percorrere le orme della trama principale). Nonostante le belle parole spese, anche questo sofisticato sommarsi di meccaniche funzionali è piegato alle necessità della telefonata narrativa principale, capita quindi di incappare in scontri dove viene richiesto di difendere un particolare membro del party reso inerme; in questi casi bastano pochi secondi per vedere piombare sullo schermo la scritta “Game Over” senza possibilità di appello. Questi picchi di inspiegabile difficoltà e frustrazione sembrano svilire la filosofia di tri-ACE.

Così come il sistema di combattimento, anche i meccanismi che regolano la crescita dei protagonisti sono altrettanto sfaccettati, e difficilmente il party di guerrieri di un giocatore sarà uguale a quello di un altro. Le variabili sono tantissime, partendo dai “ruoli” con cui è possibile influenzare il comportamento della IA dei compagni (seppur marginalmente) e le loro statistiche, passando per le tecniche di combattimento, sbloccabili utilizzando oggetti come manuali, che crescono di potenza man mano che vengono utilizzate contro i nemici. Infine abbiamo le specialità, abilità passive che vanno dal saper riconoscere punti d’interesse sulle mappe per raccogliere oggetti, esperienza ed SP bonus, fino alla visualizzazione di informazioni importanti sul reticolo di navigazione, il radar che accompagna l’esplorazione delle vaste aree rurali calpestabili.

Star-Ocean-Integrity-and-Faithlessness-screen-04Ci si può davvero perdere nel sistema di gioco di Star Ocean: Integrity and Faithlessness, soprattutto quando la dimenticabile narrazione principale arriva al suo epilogo e lascia finalmente spazio alla risoluzione di quest opzionali o quando ci si dedica al crafting “ignorante” della biondissima inventrice Welch, personaggio ricorrente della serie presente all’appello anche in questa occasione (e per di più col suo design classico!). Tutti aspetti secondari e opzionali che, tuttavia, brillano assai più di quelli principali. Niente di nuovo per gli appassionati della serie, certamente, ma sarebbe stato consigliabile puntare a fondere queste caratteristiche per dare maggiore carattere a una produzione che, se ci si fermasse all’epidermide, rimarrebbe dannatamente anonima e per certi versi meno intrigante di un qualsiasi J-RPG low budget disponibile in commercio.

tri-ACE propone un sistema che premia la vera abilità del giocatore, senza trincerarsi dietro a pratiche sommarie e pigre come l’obbligo di grinding

Per quanto riguarda l’aspetto visivo, beh, c’è poco da dire: Star Ocean: Integrity and Faithlessness vive di alti e bassi, luci e ombre di una produzione in bilico costante fra la bellezza dei panorami proposti durante l’esplorazione e la grossolana realizzazione tecnica dei singoli elementi a schermo. Un aspetto che mi ha lasciato piuttosto indignato è la quasi totale assenza di un sistema di collisioni fra i corpi poligonali dei protagonisti e i png, tanto che in qualsiasi momento è possibile “penetrare” nei corpi degli stanti, anche durante le scene cinematiche. Un fenomeno che va a braccetto con una generale pochezza della messinscena, caratterizzata da una varietà minima dei modelli degli abitanti dei villaggi (letteralmente tutti uguali), e con la mancanza quasi totale di interni esplorabili. Si segnalano anche rallentamenti riscontrabili generalmente all’entrata dei centri abitati e durante le battaglie, con cali drastici della versione PS4 (che tocca i 60fps ma li mantiene a fatica).

Rimangono sicuramente degne di nota l’ampiezza delle location (specialmente delle piane esplorabili) e delle città, ma poiché il tutto si limita ad essere uno spoglio set cinematografico non interattivo, dove tutti gli elementi animati sono invisibili e trapassabili come fantasmi, quasi mi viene da rimpiangere gli scenari pre-renderizzati e bidimensionali del secondo capitolo.

Star Ocean: Integrity and Faithlessness è il goffo tentativo di Square Enix di riportare la serie verso la direzione toccata dai capitoli precedenti al disastroso quarto episodio. Purtroppo la generale assenza di personalità e coraggio in fase di scrittura, unita ad una buona dose di problemi tecnici e a un sistema ludico profondo, ma imperfetto, fanno di questa quinta iterazione del franchise un prodotto destinato esclusivamente agli appassionati, magari disposti a rivedere quell’iperattiva di Welch e far scorpacciata di crafting e combattimenti nella speranza di sconfiggere l’Ethereal Queen. Al di là di questo aspetto, temo che in Integrity and Faithlessness ci sia davvero poco da ricercare.

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Pro

  • Tante cose interessanti da fare subito dopo la main quest.
  • Sistema di gioco profondo e sfaccettato…

Contro

  • … ma lontano dall’essere infallibile.
  • Personaggi anonimi.
  • Storia in “fast forward” e mal raccontata.
  • Picchi di difficoltà improvvisi.
  • Sette guerrieri che menano altrettanti nemici a schermo non sono esattamente semplici da seguire.
  • Valori di produzione inspiegabilmente bassi per un prodotto che porta questo nome.
5.5

Insufficiente

C'è chi dice che nella sua stanzetta, dietro una mole spaventosa di fumetti d'epoca giapponesi, si celino misteri infiniti. Da sempre appassionato di videogame made in Japan e delle opere animate di Kunihiko Ikuhara, dategli un qualsiasi J-RPG e lo renderete un orsetto felice.

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