Annunciato alla scorsa PlayStation Experience parigina, Furi ha subito colpito la mia attenzione grazie al suo essere figlio di due mondi così vicini eppure tanto lontani. Dopo aver lasciato Ubisoft Montpellier e aver aperto lo studio indipendente The Game Bakers, i francesissimi Audrey Leprince ed Emeric Thoa si sono infatti dedicati, anima e corpo, a un progetto fortemente personale che avesse le radici nel gameplay immediato, e allo stesso tempo impegnativo, degli arcade giapponesi di una volta; bei giochi con cui loro sono cresciuti, così come molti di noi.
Il duo ha quindi cominciato a lavorare alacremente per ricreare quel feeling vagamente sadico e appagante, e ha pensato bene di dare al tutto un’impronta ancora più orientale, chiamando al design dei personaggi un mostro sacro come Takahashi Okazaki, il disegnatore già responsabile del cult Afro Samurai. Condito da una colonna sonora elettronica galvanizzante firmata – tra gli altri – da Carpenter Brut e The Toxic Avenger, Furi si ritaglia con la katana un posticino tutto speciale tra le uscite più interessanti di questa estate 2016. Ah, l’ho già detto che è incluso nella Instant Game Collection di luglio? Ecco, un motivo in più per dargli una chance.
FUGA PER LA VITTORIA
Il gameplay, come dicevo, è pensato per dare subito tutti gli elementi chiave al giocatore, a cui spetterà il compito di padroneggiare i propri mezzi per cercare di raggiungere la fine dell’erculeo calvario. La trama di Furi, in effetti, ci vede vestire i panni di una sorta di cyber-ninja tenuto prigioniero in un inferno dantesco sui generis in cui, al posto dei gironi, vi sono degli eremi presieduti da diversi carcerieri che ci sbarrano la strada verso la libertà, e di cui dovremo disfarci.
Furi affonda le radici nel gameplay immediato e impegnativo degli arcade giapponesi di una volta
A strapparci dalle catene, e a dare il la alla scalata per riveder le stelle, giungerà
un bizzarro uomo con la maschera da coniglio rosa, che non solo ci dispenserà consigli criptici su come affrontare gli aguzzini (e una spiegazione sommaria alle circostanze che hanno portato alla nostra reclusione), ma che
ci metterà in mano gli unici strumenti per raggiungere l’agognata libertà, ovvero una spada e una pistola. Imbracciate le armi e liberi dalle catene, il gioco ci porrà dinanzi al primo boss della scalata, che fungerà sia da tutorial che come vera e propria lezione su quello che ci aspetterà da lì alla fine del gioco: mazzate, mazzate e ancora mazzate! Come detto, infatti,
l’immediatezza è la parola d’ordine e i fronzoli vengono messi immediatamente da parte: la spada e la pistola donateci dal coniglione rosa non potranno essere migliorate in alcun modo, così come il personaggio principale non dispone di perk o di abilità da aumentare. Furi è un cammino costante in cui occorre sopravvivere solo con le proprie forze, in senso tanto metaforico quanto letterale; una scelta di design che si traduce in un processo di attenta lettura dei pattern avversari, a cui rispondere con le giuste tempistiche assecondando le diverse fasi del combattimento.
Ogni boss propone una sua miscela tra meccaniche bullet hell, cui scampare grazie a schivate precise e movimenti sul filo del rasoio, e un combattimento all’arma bianca più tradizionale mutuato dagli stylish action di Hideki Kamiya e compari della vecchia Capcom. Questo significa, sostanzialmente, che l’animo old school che ha mosso i due ragazzi di The Game Bakers mette in scena delle boss fight tiratissime e impegnative in cui il trial and error è contemplato al fine di forgiare le azioni del giocatore con le mazzate, e portarlo a capire che una buona schivata conta quanto se non più di un fendente ben assestato.
le boss fight richiedono un’attenta lettura dei pattern avversari
Ogni combattimento, una volta compresi i meccanismi e le diverse fasi, si trasforma a tutti gli effetti in un furioso balletto in cui meditare le singole mosse, caricare il prossimo colpo e, soprattutto, sperare di azzeccare la parata perfetta che, proprio come in un Bayonetta, ci garantisce un vantaggio sul carceriere di turno. Ogni vantaggio è essenziale, peraltro, anche considerato il particolare sistema di health bar proposto dal gioco:
i carcerieri, così come il ninja protagonista, hanno diverse “vite” a disposizione, subordinate alla barra di energia che cala a ogni colpo incassato. Se il protagonista toglie una vita al carceriere ne recupera una per sé; al contrario, un boss può ripristinare l’energia persa in caso riesca a farci fuori, allungando la tenzone e rendendo vani i nostri sforzi. Chiaramente, se finiamo tutte le vite arriverà il game over e la sfida ricomincerà da capo… il che, considerata la lunghezza sostanziosa di alcuni combattimenti e l’assenza di checkpoint intermedi, lascia spazio a un pochino di frustrazione negli scontri più avanzati, più che altro perché non sempre fa piacere ripetere per intero un duello “solo” perché abbiamo interpretato male un pattern d’attacco. Anche se, va detto,
la sfida rimane sempre genuina e non c’è nessun trucco “vecchia scuola” per trarci in inganno subdolamente. Il nostro Marione vi direbbe
“git gud” e poche storie.
SHADOW OF THE NINJA
Oltre a tanti bei combattimenti cattivi e impegnativi come non se ne fanno più, Furi propone anche dei veri e propri segmenti di intermezzo, delle scenette in cui il nostro protagonista cammina serenamente tra un pianeta all’altro ascoltando le misteriose parole proferite dall’amico coniglio. Queste sezioni, oltre ad essere indubbiamente utili per riprendersi dalle faticose boss fight, ci permettono di capire un po’ di più sul misterioso universo narrativo, sul silenzioso protagonista e sui diversi boss, andando a integrare l’ispirato character design di Okazaki.
il character design è affidato a Takahashi Okazaki
Con l’andare del peregrinaggio verso la libertà,
l’intreccio narrativo, che sulle prime sembra poco più di un pretesto per mettere in moto i pestaggi selvaggi e i balletti schiva-proiettili,
sa trasformarsi da semplice pulce nell’orecchio a vero e proprio motivo scatenante per proseguire fino alla prossima boss fight nel tentativo di approfondire gli elementi sopraccitati. Certo, spesso il mistero si infittisce a tal punto che, piuttosto che ascoltare il coniglione rosa, è preferibile perdersi nei magnifici quadri che collegano un pianeta all’altro (non che si possa interagire con qualcosa); e in generale, pur partendo da uno standard molto elevato per una produzione indipendente, alcuni boss e ambientazioni sembrano meno riusciti rispetto alla media, ma alla fine
Furi si rivela un piccolo gioiellino che, sotto la densa coltre di mazzate e la difficoltà di altri tempi, nasconde qualcosina di più.
La difficoltà d’altri tempi, una colonna sonora pazzesca e uno stile visivo riuscitissimo: prendete bene il tempo delle vostre azioni e meditate sul cammino che vi troverete dinnanzi, perché Furi saprà mettervi alla prova più di una volta prima di raggiungere il finale che meritate, abusando forse un filo troppo della dinamica trial & error.