Simogo torna dopo il favoloso video-musical Sayonara Wild Hearts, con un puzzle-investigativo infestato, psichedelico e folle, ma soprattutto bellissimo: Lorelei and the Laser Eyes.
Sviluppatore / Publisher: Simogo / Annapurna Interactive Prezzo: 22,99€ Localizzazione: Testi Multiplayer: Assente PEGI: 12 Disponibile su: PC, Nintendo Switch Data d’uscita: Già disponibile
Lorelei and the Laser Eyes si apre in esterno notte, in mezzo ad un bosco reso ancora più tetro dal bianco e nero anni ’60, patinato. L’auto parcheggiata, il motore ancora caldo, una lettera dal vano portaoggetti, riletta per l’ennesima volta: “Signorina, come da accordi, attendo il tuo arrivo all’hotel Letztes Jahr il 7 gennaio dell’anno prossimo”. La firma, elegante, signorile, è quella di Renzo Nero, regista maledetto, autore di culto che sembra aver ritagliato alla protagonista un ruolo su misura nella sua ultima, sconvolgente e indecifrabile opera. Le risposte alle domande che cominciano ad affollarsi, stratificarsi e mescolarsi nella testa del giocatore, sono tutte all’interno dell’hotel; un edificio austero, dal passato glorioso e dal presente decadente, infestato, perturbante.
C’è un po’ dell’Overlook di Shining, della Villa Spencer di Resident Evil e del “Flower, Sun and Rain” dell’omonima opera di Goichi “Suda51” Suda. La sua architettura si svela come un macro-enigma, il suo passato si rivela subito ambiguo come un trucco di magia, sospeso tra realtà e finzione, grazie all’eleganza di uno storytelling spesso allegorico, legato apparentemente ai canoni dell’horror (ma ben più profondo di una classica storia di fantasmi), lasciando che sia però sempre il gameplay ad avere l’ultima parola. Enigmi matematici, ambientali, ottici, fisici, deduttivi, tanti, intriganti, tutti splendidamente interconnessi tra loro e accomunati da una risoluzione investigativa, dove indizi, intuizione, ragionamento e lettura sono fondamentali per dare ritmo e corpo ad una progressione non lineare.
La sua architettura si svela come un macro-enigma, il suo passato si rivela subito ambiguo come un trucco di magia
ESCAPE ROOM ESOTERICA
La verità è il fine, l’obiettivo di questo thriller psicologico che frammenta la memoria in tante piccole schegge, quelle di una finestra rotta da un corpo che vola giù dal terzo piano, rielaborando il trauma attraverso simbolismi e rompicapi per ritrovare il filo logico che permetta di uscire dall’incubo. Simogo usa una rappresentazione grottesca della violenza, lasciando intuire senza eccedere nel mostrare, usa la casa come un cofanetto di ricordi e il linguaggio dei sogni per confondere, sviare, attingendo agli immaginari di autori come Lynch o il già citato Suda51 per poi reinterpretarli.
Lorelei and the Laser Eyes è, più in generale, un’opera estremamente colta, che cita con savoir faire, scritta con eleganza, approfondita ma mai eccessivamente prolissa o beata della sua stessa immagine. Tutto è permeato da un esoterismo di tipo massonico, dove una serie di suggestioni, anche contrastanti tra loro, sono buttate nel calderone, alla moda delle società segrete antiche e contemporanee. Alfabeto greco, numeri romani, cartomanzia, astronomia, religione, un misto di simboli-strumento utilizzati come chiavi per celare la verità dietro decine di porte, lucchetti, cassetti, frasi altisonanti che hanno sempre un doppio significato. L’effetto iniziale di questa mole di informazioni che entra nel cervello può essere spiazzante, confusionario, labirintico, ma una volta che ci si abbandona, si esplora, si cominciano a intravedere gli ingranaggi logici, i pezzi del puzzle si incastrano nella testa con una naturalezza sorprendente. L’effetto “cascata” sul gameplay, dove un enigma principale ne spiega un altro che sembrava incomprensibile, è una costante fonte di soddisfazione, curiosità e autostima, ricordando capolavori del recente passato come The Witness o The Return of the Obra Dinn, mantenendo però uno stile unico e riconoscibile.
La verità è il fine, l’obiettivo, anche statistico, di questo thriller psicologico che frammenta la memoria in tante piccole schegge
INSTALLAZIONE D’ARTE INTERATTIVA, QUESTO LORELEI AND THE LASER EYES
Se il racconto di per sé è un thriller paranormale che racchiude nel passato, tanto dei personaggi quanto dell’albergo, la sua tremenda verità, è altrettanto vero che ognuno di questi personaggi è legato a suo modo all’arte, che sia cinematografica, pittorica, virtuale o illusionistica. Questo perché gli sviluppatori hanno voluto riflettere (e far riflettere) sul ruolo degli artisti nella società, sull’ossessione e sui limiti morali di un’opera, ma anche sul ruolo di chi, dall’altra parte, come noi alle prese con gli enigmi del gioco, si confronta con l’arte, creando un dialogo estremamente interessante e intimo, un botta e risposta di gameplay. La sensazione, costante, è quella di essere incastrati in una sorta di installazione d’arte interattiva, tirati in mezzo per il piacere altrui di vederci sbattere la testa su rompicapi finemente disegnati, in una sorta di Truman Show videoludico. C’è tutta una serie di enigmi, tra i migliori del titolo, incentrati sull’interpretazione delle opere di Lorelei Weiss, con stanze dedicate e suggestive descrizioni annesse, come se l’hotel si fosse trasformato di colpo in un museo. A questo proposito, quello che colpisce è proprio la quantità, qualità e varietà di materiale che compone il mosaico narrativo.
Oggetti, lettere, articoli di giornale, rapporti della polizia, le trame dei film di Renzo Nero sul retro delle VHS, finanche i menù del ristorante del Letztes Jahr sono sempre interessantissimi da leggere, col beneficio di una traduzione italiana impeccabile, che sicuramente non guasta. Una cura per il dettaglio che risucchia l’attenzione del giocatore, la monopolizza e la sbatte da un’ala all’altra, da un piano all’altro, con variazioni sul tema che mantengono sempre alto l’interesse, tra punta-e-clicca, puzzle puro, investigazione, dungeon crawler, fino a deviazioni ancora più estreme, con le cartucce per il Byte Seyes, uno pseudo-Game Boy che si trova praticamente a inizio partita, contenenti veri e proprio mini-giochi arcade, deliziosamente pensati e rifiniti; a dimostrare, se ce ne fosse bisogno, di quanto Simogo sia tra gli studi più talentuosi su piazza, tout court, come già ampiamente dimostrato col vorticoso e camaleontico video-musical Sayonara Wild Hearts. La percentuale di completamento, ben visibile nel menù di pausa, diventa quasi un’ossessione, da controllare e ricontrollare mentre i segreti, anche dopo 15 ore, continuano a spuntare e accumularsi, tanto da portare gli sviluppatori a suggerire di giocare con carta e penna a portata di mano. Un metodo sicuramente comodo, per quanto ogni informazione trovata sia consultabile proprio nel menù, che fa le veci dei pensieri e della memoria della nostra protagonista; al centro della schermata, la pochette sotto braccio e gli occhiali neri a nascondere sempre gli occhi; imperscrutabile, enigmatica, implacabile.
La sensazione, costante, è quella di essere incastrati in una sorta di installazione d’arte interattiva
In Breve: Lorelei and the Laser Eyes è uno dei capolavori dell’anno, un titolo che spicca nella già nutrita scuderia Annapurna e l’ennesima conferma di Simogo come uno dei team più talentuosi in giro. Un puzzle game, un’avventura grafica, un investigativo, pure un semplice dungeon crawler, camaleontico e sempre sorprendente, ma soprattutto una storia maledetta, coinvolgente, inquietante, che parte dal thriller psicologico per finire a ragionare sull’arte nel senso più ampio del termine. Level design maniacale, atmosfera straordinaria, momenti incredibili per un’opera che non mi illudo possa avere successo commerciale ma che, forse, come certi film d’autore, potrà diventare cult.
Piattaforma di Gioco: Nintendo Switch
Com’è, come gira: Tecnicamente leggero, visivamente spettacolare e ricco di tocchi di classe.