La mia relazione con Outcast è stata travagliata. Mi ricordo che eravamo a cavallo del nuovo millennio e io ero alla mia prima vacanza studio nel Regno Unito, a York, per la precisione. Di quelle settimane alcuni ricordi sono stampati nella mia mente: innanzitutto, le persone che mi avrebbero accompagnato negli anni a venire, e poi altri episodi, magari più faceti, ma comunque importanti. Come dimenticare, ad esempio, la mia iniziazione a Magic: The Gathering? Ma sto divagando. Un’altra memoria, più pertinente, riguarda un negozio di videogiochi dove mi aggirai meravigliato per la scelta a disposizione: fui subito colpito da una delle nuove uscite, Outcast appunto, e dalle sue immagini di un mondo alieno e stupefacente, anche se in quell’occasione finii per comprare Ignition e Outwars per via dei prezzi stracciatissimi, solo quindici sterline (impensabili a Biella, dove il mercato di seconda mano era praticamente inesistente). Recuperai poi il titolo francese su GOG.com solo anni dopo, ma lo tenni a prendere la polvere (digitale) fino alla corposa patch 1.1, pubblicata nel 2014. Ripensando a quei giorni si allarga sul mio viso un sorriso sognante e un po’ ebete, e questo mi fa pensare a cosa significhi davvero “nostalgia” e perché tanti sviluppatori ripropongano glorie del passato. Venendo al titolo in oggetto, cos’è Outcast: Second Contact? Soprattutto, si tratta di un’operazione commerciale o di una sincera lettera d’amore del team di sviluppo originale? Vediamo di fare chiarezza.
BACK TO THE NINETIES
Outcast: Second Contact si presenta come remake dell’originale del 1999. Mentre lascio che sia il video dello youtuber Sabaku a spiegarvi i dettagli delle differenze tra remake e remaster, qui è sufficiente dire che il titolo in analisi si pone, appunto, più verso il remake: il team Appeal è partito dal codice sorgente originale mantenendo personaggi, missioni e ambientazioni, ma al tempo stesso ci ha messo mano introducendo elementi originali mirati a modernizzare il gameplay, come vedremo tra poco.
Il contenuto narrativo in Outcast è di ottimo livello, sia per quantità che per qualità
MONDO NUOVO
Il mondo di Adelpha è costituito da aree dalla forte caratterizzazione: ad esempio, Talanzaar richiama da vicino le città nord-africane con i loro stretti vicoli, neanche fossimo nel suk di Fez, dove dozzine di civili e mercanti sono indaffarati nelle loro attività commerciali. Totalmente diversa si rivela l’antica giungla di Okaar, abitata solo da una tribù di indigeni primitivi, dove sono rimaste poche strutture in rovina, tracce di un’antica civiltà avanzata. Infine, merita una segnalazione a parte la vasta palude di Okasankaar con i suoi abitanti dall’umore cupo come il cielo all’orizzonte, inquietante e bellissimo come un dipinto del romantico Turner.
colpisce la totale assenza di icone sulla minimappa
Il mondo alieno è, senza téma di smentite, piacevole da visitare grazie al lavoro di ammodernamento degli asset grafici e a una estetica coerente che punta spesso sui giochi di luce dei due soli del pianeta con gli elementi naturali; non dimentichiamoci, inoltre, dell’effetto dell’accompagnamento sonoro orchestrale, davvero sontuoso.
SPARARE A SALVE
L’unico limite alla nostra libertà è legato alla presenza di roccaforti nemiche, difficili da avvicinare per la quantità di soldati presenti, almeno fino a quando ci si dota di un arsenale adeguato. Il combattimento, va detto, è la parte di gameplay invecchiata peggio: per quanto sia più veloce rispetto all’originale e l’intelligenza artificiale sia più elaborata, non ci siamo proprio.I soldati nemici accennano qualche manovra di accerchiamento, ma anche nelle situazioni più concitate non approfittano della schiacciante superiorità numerica, tendendo invece a battere in ritirata dietro a un riparo. Aggiungiamo a questo che i loro colpi sono lenti e facilmente evitabili e avremo scontri a fuoco che sono nulla più di un meccanico esercizio di pazienza che richiede di eliminare gli avversari uno a uno, e in cui l’unico aspetto tattico consiste nel dosare sapientemente l’utilizzo delle varie armi. Peccato, perché la presenza di alcuni gingilli come sistemi di occultamento personale, esplosivi a distanza e ologrammi consentirebbe combattimenti più fantasiosi, che però si rivelano innecessari e più complicati del dovuto. Anche l’approccio stealth funziona poco, perché Cutter Slade risente di un set di mosse limitato (niente stealth kill, per esempio) e quando si cerca di essere furtivi si percepisce che i nostri movimenti si portano dietro dal secolo scorso una certa macchinosità: questo è accettabile durante i normali spostamenti, ma crea problemi quando dobbiamo aggirarci con circospezione.
I MILLE VOLTI DEI TALAN
Il contenuto narrativo in Outcast, invece, è di ottimo livello, sia per quantità che per qualità. La main quest è composta da missioni elaborate e divise in fasi, dove spesso il nostro compito originale si complica più del previsto, tanto che arrivare alla loro conclusione dà l’idea di aver raggiunto qualcosa di significativo.Anche le side quest aggiungono davvero tanto al mondo di Adelpha, alla sua cultura e al suo popolo: vengono approfondite sia la lotta sociale contro il dittatore, sia questioni private di cittadini che hanno bisogno di aiuto. Il tono, di base, non è pesante, e anzi alcuni personaggi danno vita a scenette divertenti; non mancano comunque momenti più intimi o addirittura filosofici, in cui intravediamo frammenti di umanità profonda in Cutter Slade, altrimenti personificazione perfetta del soldato smargiasso statunitense.
Appeal è partita dal codice sorgente originale mantenendo personaggi, missioni e ambientazioni, ma al tempo stesso ha introdotto elementi originali mirati a modernizzare il gameplay
A interrompere la sospensione di incredulità ci pensano purtroppo una serie di bug non trascurabili (dopo un dialogo mi sono trovato senza motivo privo di un oggetto indispensabile per il prosieguo dell’avventura) e altri aspetti tecnici: la telecamera ha difficoltà a gestire gli spazi al chiuso e, in particolare, gli angoli di piccole stanze, mentre certe interazioni con gli specchi d’acqua creano risultati ben poco naturali. Nel complesso, comunque, Adelpha rimane un mondo ricco dove è un piacere immergersi per scoprire la cultura locale e le storie di tanti personaggi dalle sfaccettature variegate che creano un’ambientazione credibile e viva.
Dopo 18 anni, la componente narrativa di Outcast: Second Contact rimane fortissima e Adelpha è una goduria da esplorare in piena libertà, grazie allo svecchiamento del comparto tecnico, che – pur lontano dai vertici dei tripla A di oggi – regala grandi soddisfazioni. Outcast non ci prende per mano, ma ci lascia liberi anche grazie all’assenza di comodità moderne come le mappe “à la Ubisoft”, mentre la sua forte personalità limita l’effetto negativo dei combattimenti e delle altre sbavature tecniche, che nondimeno rendono il gioco non adatto a tutti.