Scrivo la recensione di P·O·L·L·E·N con una piccola dose di coraggio, da sempre sinonimo di incoscienza, quando ancora il mondo sembra non aver ancora capito di che pesce si tratta (o lo disprezza, nella decina di recensioni utenti di Metacritic). In realtà, per come l’ho vissuto io, il gioco dei finlandesi di Mindfield Games è un adventure sci-fi in linea con altri titoli indipendenti fondati sulla narrazione, ben raccontato su un normale monitor e addirittura eccellente in realtà virtuale. In questo senso, va subito aperta una parentesi su come P·O·L·L·E·N risponda ottimamente alle domande che mi sono posto qui, in merito alla complessità che un’esperienza VR può mantenere rispetto ai videogiochi “normali”. In questo caso, lo scarto tra i due tipi di fruizione non è determinato dalla scarsa sostanza del gioco su uno schermo canonico, ed è anzi vero che i difetti relativi (scarsa durata, risultati narrativi fin troppo di nicchia) sono esattamente gli stessi a prescindere dal metodo di fruizione, con inviti all’esplorazione ed enigmi più articolati rispetto, ad esempio, a quanto abbiamo visto nel recente ADR1FT. La VR può anche cercare di sorprendere con la sua pazzesca novità e col fatto di trasportare uno dei nostri sensi primari in qualsiasi luogo, ma nella gran parte dei casi, almeno nel nostro mondo, ha bisogno di videogiochi che siano davvero tali. P·O·L·L·E·N lo è, per quanto la sua odissea fantascientifica vada necessariamente presa dal verso giusto.
L’ODISSEA DELLA STAZIONE M
Da qui in avanti, ad esclusione della chiosa finale, parlerò di P·O·L·L·E·N come di qualsiasi altra avventura in prima persona, proprio perché, appunto, gli elementi di gioco da raccontare non mancano. Essenzialmente, il titolo di Mindfield ricorda gli ormai diffusissimi insegnamenti di Frictional Games nella gestione della fisica per aprire e chiudere sportelli, o manipolare oggetti d’interesse; allo stesso modo intervalla l’esplorazione con piccoli puzzle ambientali, mai troppo complessi ma comunque piacevoli da risolvere. A questo punto, però, è bene chiarire che P·O·L·L·E·N non ha come obiettivo quello di spaventare il giocatore, e tuttavia ricorda gli autori di SOMA anche nello spessore delle ispirazioni letterarie, nel suo caso tra le pagine di due dei massimi autori di fantascienza del ‘900. Per un appassionato bastano pochi passi su “M”, stazione scientifica sul suolo di Titano, per sentirsi in una sorta di sunto delle Odissee di Arthur C. Clarke e, soprattutto, delle atmosfere di Solaris di Stanislaw Lem. Non è davvero il caso di anticiparvi alto, se non che l’incipit ci mette nei panni di un tecnico della RAMA Industries, inviato tra le violente tempeste del principale satellite di Saturno per indagare sulla sparizione di un’intera comunità scientifica.
P·O·L·L·E·N non ha come obiettivo quello di spaventare il giocatore
QUANTIC DREAM
Un elemento centrale, peraltro visto in parecchi titoli sci-fi, riguarda la necessità di affrontare veri e propri paradossi temporali per procedere nell’avventura. In realtà, il dettaglio fa già parte della trama, e dunque della componente di P·O·L·L·E·N che, proprio per la sua centralità, non vorrei spoilerare nemmeno in parte. Va almeno accennato, però, il fatto che il protagonista dovrà muoversi fra diverse versioni della Stazione M, seguendo il diverso destino dei vari personaggi, i loro tentativi di analisi o, semplicemente, la caratterizzazione personale dell’uno e dell’altro. Naturalmente, in molti casi gli spostamenti quantici nascondono i meccanismi per la risoluzione degli enigmi, e hanno dunque a che fare con oggetti, porte e macchinari che troveremo in diverso stato a seconda della linea temporale.
Per il resto, il sistema di gioco mette a disposizione un inventario semplice ma preciso in cui piazzare le schede ID dell’equipaggio, una planimetria volutamente abbozzata della base (non così grande, anche dopo averne sbloccato tutte le sezioni) e le cassette con i ricordi, le riflessioni e persino le musiche preferite dei personaggi, perfettamente in linea con le loro peculiari personalità. Notevole la caratterizzazione d’ambiente, con colori e design morbidi ispirati agli anni ’70, così come la possibilità di interagire fisicamente con un gran numero di elementi, attraverso icone differenziate a seconda dell’azione (per raccogliere, appoggiare o “strattonare” gli oggetti, in linea con il loro peso o la loro funzione), mettendo mano a pulsanti, macchinari e strumenti – anche ricreativi – che spesso non hanno un vero scopo, ma riescono a immergerci ancor di più nello scenario. La bella colonna sonora ricorda quella del citato ADR1FT, e allo stesso modo sembra ispirarsi alle musiche elettroniche della prima trasposizione di Solaris (Andrej Tarkovskij, 1972), affiancata però a una trama molto più vicina allo spirito del romanzo e del film. E non vi preoccupate se, alla fine della storia, non riceverete tutte le risposte: anche Kubrik e Tarkovsky hanno cambiato epiloghi e dettagli vari delle storie di riferimento, proprio per lasciare a se stessi e agli spettatori uno spettro interpretativo più ampio e libero. Ulteriori confronti risulterebbero persino ridicoli, naturalmente, ma è comunque bello – e proficuo, in diversi passaggi – che uno studio di giovani sviluppatori abbia affrontato la materia con lo stesso coraggio intellettuale. Meglio di Steven Soderbergh, tanto per capirsi.
P·O·L·L·E·N IN REALTÀ VIRTUALE
Al momento, la versione beta di P·O·L·L·E·N in VR è disponibile sulla CV1 di Oculus Rift – o sul DK2, il cui supporto verrà dismesso nel 2017 – mentre non è ancora a punto la compatibilità con HTC Vive e, così, con i suoi controller cinetici, non si sa bene se e quanto sfruttati dal sistema di controllo. Tuttavia, l’esperienza di gioco in VR è già abbastanza buona da far passare in secondo piano i dettagli non risolti (e difficilmente risolvibili) dei comandi. La visuale libera all’interno del casco risulta molto convincente, un po’ come in ADR1FT, ma lo stesso non si può dire della postura esclusivamente eretta del busto, ruotabile con l’asse orizzontale della levetta analogica, davvero poco verosimile nel caso di rampe o scalini. Talvolta, inoltre, risulta pardossalmente macchinoso l’uso della testa (ovvero, della posizione rilevata dal visore) per evidenziare opzioni o icone dinamiche, complice la piccola dimensione di alcuni spot interattivi.
La bella colonna sonora ricorda quella di ADR1FT
Al netto di alcuni difetti non trascurabili, talvolta di eccessiva fiducia verso la sensibilità del giocatore, la realtà virtuale ha bisogno di giochi come P·O·L·L·E·N. Paradossalmente, l’opera prima di Mindfield Game brilla in VR per il tentativo di essere un “gioco vero”, un’avventura in prima persona fondata sulla narrazione e su piccoli enigmi, con una trama non perfetta ma densa e affascinante, lontano dai troppi esperimenti fini a se stessi degli store VR. In comune con altre esperienze su Oculus (e, in un futuro vicinissimo, su HTC Vive) ha la scarsa durata, e forse potrebbe osare di più sui controlli, ma per il resto si tratta di un riuscito e accorato omaggio alla fantascienza d’esplorazione spaziale più profonda e magnetica, con particolare riferimento a Solaris e 2001: Odissea nello Spazio. Per gli stessi motivi, sento di poter consigliare P·O·L·L·E·N anche nella versione “liscia”, a patto di amare alla follia le sue gigantesche fonti d’ispirazione.