La prova su Adr1ft mi ha un poco riappacificato col tema della realtà virtuale, dopo la delusione per gli alti prezzi di una tecnologia che, peraltro, deve ancora dimostrare la sua reale capacità di penetrazione. L’adventure spaziale di Three One Zero non è perfetto in tutte le sue parti, e tuttavia il carisma e l’incanto della VR risultano perfettamente espressi in opere come questa, dove la vista e l’udito sembrano materializzarsi in uno scenario lontano e visivamente magnifico, in questo caso sospesi a centinaia di chilometri dal suolo terrestre. La fama di videogioco “stile gravity” viene confermata e ulteriormente rimarcata dal prodotto finale, che vede la nostra Alex Oshima – a capo di un complesso progetto scientifico – spostarsi fra le diverse porzioni di una realistica stazione spaziale, dopo che un misterioso disastro ha sbriciolato le sue parti appena sopra la ionosfera. Sullo sfondo abbiamo il gigantesco globo blu, naturalmente, magnifico protagonista dello spettacolo visivo, insieme a questioni che hanno a che fare con i personaggi, con la loro umanità e con verosimili ricostruzioni aerospaziali, lontani dalla Terra ma anche dalla solita fantascienza sguaiata di cinema e videogiochi.
Il “vecchio” Oculus DK2 ha funzionato benissimo con Adr1ft, nonostante non sia ufficialmente supportato
La possibilità di giocare in VR è stata in dubbio fino all’ultimo, avendo per il momento a disposizione “solo” il Development Kit 2 di Oculus. Alla prova dei fatti, invece, l’installazione dei nuovi runtime 1.3 ha permesso al mio vecchio e già glorioso visore di funzionare perfettamente con Adr1ft e altri titoli già compatibili – come Elite Dangerous – e addirittura sullo store di Oculus (un salotto virtuale davanti a un fuoco crepitante, con le pagine del negozio sospese al centro), per quanto il suo supporto non venga garantito per nessuna app o gioco VR in catalogo. La principale differenza con la consumer version sta ovviamente nella risoluzione, Full HD (1920*1080 per ogni occhio) contro i 2160*1200 complessivi di Oculus, un poco inferiore ma non fino al punto da inficiare un’esperienza già provata e apprezzata in sede di presentazione, proprio sul DK2. Ciò non toglie che, a oggi, il gioco di Three One Zero vada recensito anche nella forma di un “normale” adventure game, comunque bellissimo da vedere e immersivo come ogni buona simulazione in prima persona deve essere, Oculus o non Oculus.
ODISSEA VIRTUALE
Lascio la trama alla vostra esplorazione, anche perché nella sua breve durata – dalle quattro alle cinque ore, senza nemmeno correre – si tratta della portata principale di Adr1ft in termini di scoperta e pura esplorazione. Mi limito a segnalarvi lo scopo del progetto scientifico “SPIRITUS” – produzione di cibo e aria dalla coltivazione idroponica nello spazio – oltre al fatto che la fantascienza di Adr1ft non abbandona mai il suo procedere “silenzioso” e (moderatamente, come vedremo) verosimile. L’attenzione si stringe sui vari membri dell’equipaggio – attraverso il ritrovamento dei loro effetti personali – e così sull’atmosfera che si è venuta a creare sulla stazione prima della catastrofe. Molto bello il commento sonoro, con musiche elettroniche che sembrano ispirarsi ai brani d’organo del Solaris di Tarkovsky, fonte d’ispirazione che sembra confermata anche dal nome di una delle porzioni della stazione. SOLARIS, VOCABILIS e MOBILIS indicano le vocazioni tecnologiche dei vari dipartimenti, in un racconto che, comunque, non ha altro a che spartire con il romanzo di Stanislav Lem, se non appunto a livello di (eccezionali, a dir poco) suggestioni audiovisive.
La simulazione visiva è così ben fatta da farsi perdonare almeno in parte la sostanziale ripetitività del’azione
Prima di descrivere i difetti di Adr1ft vanno doverosamente rimarcate le sue qualità, magnificamente stranianti in VR e comunque ben evidenti anche su un comune schermo, meglio se con risoluzioni elevate (il gioco supporta i 4k su PC, a patto di avere un hardware bello corazzato) e tutti i dettagli tirati al massimo. La simulazione visiva è così ben fatta da farsi perdonare almeno in parte la sostanziale ripetitività del’azione, grazie alla realistica ricostruzione degli interni a gravità zero e al naturale carisma delle passeggiate nello spazio, contornate da detriti fluttuanti spesso connessi alla vita nella base, come le semplici razioni di cibo e le fotografie dei propri cari sulla Terra. In realtà virtuale dovete aggiungere una serie di sensazioni così forti da sembrare vere – e in un certo senso lo sono – con il fiato che rimane sospeso per qualche attimo quando usciamo all’esterno dei rottami, o con un piccolo senso di nausea dovuto, più che ai noti problemi della VR, al fatto che nessuno di noi è addestrato a stare nello spazio… Va detto che le meccaniche “esclusive” per la realtà virtuale si limitano ai movimenti della testa e, così, allo splendido adattamento tridimensionale dell’HUD, senza altre caratteristiche o idee per rimarcare il tipo di esperienza. Da un lato questa impostazione può far storcere la bocca ai primi fanatici della VR, affamati di nuovi controlli e inedite soluzioni, ma allo stesso tempo rende Adr1ft più fruibile nella sua forma “normale”.
PREZIOSISSIMA ARIA
Al contrario di altri videogiochi fondati preminentemente sulla narrazione, Adr1ft prova a costruire un gameplay con piccoli tocchi d’azione survival, moderati nel livello di sfida ma piacevoli nella realizzazione. L’idea principale, semplice ma interessante, è legata all’uso condiviso dell’ossigeno per respirare e spostarsi: ogni movimento con i propulsori della tuta, così come gli urti contro le strutture, provocano una perdita di ossigeno che dovremo tamponare con bombole o dispencer automatici, e che comunque dovrà essere valutata nel momento di lanciarsi nello spazio aperto, sfruttando il più possibile l’inerzia del nostro corpo. Lo scopo è proprio riparare il nostro sistema vitale – la tuta EEV – per affrontare gli spostamenti più lunghi e raggiungere, infine, la navetta di salvataggio per tornare sulla Terra, con il fardello di quello che avremo o non avremo scoperto sul disastro.
Adr1ft costruisce un gameplay con piccoli tocchi d’azione survival, moderati nel livello di sfida ma piacevoli nella realizzazione
Per la natura stessa dell’ambientazione, Adr1ft è un’esperienza in prima persona fondata su sei gradi di libertà, in cui i controlli assomigliano per sommi capi a quelli delle space-sim, o comunque ai comandi di un veicolo spaziale. Con i tasti dorsali possiamo ruotare sul nostro asse, con i grilletti alzarci e abbassarci di quota, mentre gli stick destro e sinistro servono rispettivamente per orientarsi e spostarsi sull’asse frontale. Il fatto di nominare immediatamente il pad, nonostante abbia provato Adr1ft su PC, è presto spiegato: giocare con mouse e tastiera è possibilissimo ma non consente di dosare l’intensità del propulsore principale – operazione possibile con la levetta analogica – ed è per questo che ho subito preferito il gamepad, peraltro ineludibile nell’esperienza in VR.
HUSTON, ABBIAMO (PIÙ DI UN) UN PROBLEMA
Il difetto più grave di Adr1ft risiede in un piccolo particolare, forse voluto ma alquanto scomodo in fase d’esplorazione. Pur apprezzando l’avarizia di indicatori e obiettivi a vista (tutto passa attraverso dialoghi e scritte sui terminali), ho poco gradito la scarsa intuitività della minimappa e, così, del sistema di navigazione tridimensionale sulla distanze più lunghe, davvero poco chiaro in termini di allineamento con gli obiettivi. Gli oggetti d’interesse relativamente vicini, invece, possono essere evidenziati attraverso uno scanner, e tutto finisce per far risultare poco coerenti le due fasi dell’esplorazione, oltre che un pochino meno credibili le tecnologie a nostra disposizione.
Adr1ft tende a diventare ripetitivo anche per colpa di una trama non all’altezza del magnifico scenario
Adr1ft tende inoltre a diventare inevitabilmente ripetitivo dopo un paio d’ore, anche a causa di una trama non all’altezza del magnifico scenario, che poco offre se non il disegno dei vari personaggi. Se poi volessi trovare il pelo nell’uovo, con Oculus ma anche senza, non mi è piaciuta la mancata rappresentazione dei comandi del jetpack, un po’ contraddittoria rispetto al rigore del sistema di controllo. Sarebbero bastate due manopole ai lati della visuale, come quelle dei veri jetpack degli astronauti, per rendere ancora più immersiva l’esperienza e mantenere, comunque, le belle animazioni contestuali nelle mani. Ed è proprio nelle movenze tragicamente sublimi della morte, con le braccia protese all’esterno, che si realizza ancora una volta la massima di Alien, “nello spazio nessuno può sentirti urlare”. Anche senza xenomorfi, aggiungo io, ma un po’ di fantasia in più avrebbe senz’altro aiutato.
Adr1ft è sicuramente l’esperienza più “intensa” (proprio come indica il sistema di rating di Oculus) che si possa attualmente vivere in realtà virtuale, grazie a un impianto audiovisivo avvolgente e alla realistica sensazione dietro al casco da astronauta. Le qualità tecniche sono comunque evidenti anche su un comune monitor, e tuttavia è chiaro come molti dei difetti del gioco – il criptico sistema di navigazione, una certa ripetitività di fondo – possano passare in secondo piano quando, come ho personalmente provato, l’impressione è quella di essere davvero in orbita intorno alla Terra. Peccato per l’intreccio della trama, meno intrigante e complesso di quel che mi aspettavo, e per la sostanziale esiguità della sfida, nonostante le buone idee sul sistema di controllo.