C’è stato un momento in cui, lavorando alla qui presente recensione, Teenage Mutant Ninja Turtles Mutants in Manhattan ha sfondato la quarta parete. Stavo esplorando per la seconda volta le fogne, facendomi strada in un monotono dedalo di tunnel e rischiavo di addormentarmi mentre il mio quartetto di anfibi antropomorfi passava da uno scontro all’altro contro quegli stessi nemici che avevo sbaragliato in quantità industriale nelle precedenti missioni. Ecco, in quel momento mi contatta April O’Neil, lamentandosi del medesimo labirinto infinito. Neanche a farlo apposta, stavo pensando la stessa cosa della bella giornalista dal guardaroba color canarino. Mutants in Manhattan è un gioco breve, un po’ come Transformers Devastation uscito un anno fa, ma in una campagna che dura bene o male quattro ore riesce nell’invidiabile compito di risultare noioso e ripetitivo: Platinum Games, a sorpresa, butta via tutte le cose che avevano reso l’intensa avventura di Commander e soci un successo, producendo quello che, con ogni probabilità, è il loro peggiore titolo di sempre.
HALF BAKED, ALTRO CHE HALF SHELL
Il Clan del Piede è nuovamente sul sentiero di Guerra e minaccia di mettere a ferro e fuoco la Grande Mela. Nulla in confronto a quanto affrontato dalle quattro tartarughe ninja, frutto delle menti della coppia Eastman e Laird, in una carriera che parte dai primi anni Ottanta. Solo che, stavolta qualcosa non va; qualcosa di subdolo, non immediatamente percettibile. Anzi, inizialmente ci si trova benone in un’ampia area urbana da esplorare che vede le tartarughe scalare i palazzi e planare in seguito a un salto, dimostrando una flessibilità degna del loro addestramento ninja. Anche incrociare spade e nunchaku con i primi nemici non pare fuori posto: i quattro anfibi pestano duro con semplici ma efficaci combo ottenibili inanellando attacchi deboli e forti. Le armi caratteristiche del quartetto completano il quadro familiare, se il bō di Donatello fa piazza pulita tutto attorno a sé, i sai di Raffaello fanno polpette dei nemici singoli, grazie alla prepotente forza della testa calda del gruppo.
Mutants in Manhattan è un gioco breve, un po’ come Transformers Devastation uscito un anno fa
MI È ANDATA DI TRAVERSO LA PIZZA
La situazione precipita quando si capisce che il gioco ricicla senza vergogna le stesse ambientazioni nel corso della breve avventura. Queste sono decisamente ampie ma, nel contempo, vuote, fatta eccezione per gli inutili collezionabili tra cui figurano le copertine dei fumetti dedicati al quartetto, assieme a oggetti da usare al momento opportuno come saporite fette di pizza o armi da lancio. La navigazione risulta quindi abbastanza noiosa, aiutata fortunatamente dal T-Glass, un visore che inquadra il prossimo obiettivo evitando di girare a vuoto. Sia che si tratti di salvare terminali bancari da ninja evidentemente al verde o di disinnescare bombe, la morale gira sempre e solo attorno al pestaggio dei nemici che bazzicano nei paraggi, con tanti saluti a ogni speranza di varietà.
il punto forte di Teenage Mutant Ninja Turtles Mutants in Manhattan sono i boss
Di fronte a questi veri e propri tour de force, tornano assai utili le capacità speciali, potenziabili salendo di livello e facendo una capatina nelle fogne smpre possibile in presenza di un tombino lampeggiante. Partendo dalla possibilità di rallentare il tempo, passando all’evocazione di un perimetro curativo, le nuove tecniche possono essere acquistate raggiungendo determinati livelli o sconfiggendo particolari boss; inoltre il potenziamento degli attacchi speciali ne incrementa l’efficacia, riducendo nel frattempo il cooldown. A queste vanno aggiunti i talismani, equipaggiabili in un numero di slot che varia a seconda del livello di difficoltà e capaci di garantire bonus di varia natura che spaziano dalla velocità di attacco, allo sconto nel negozio gestito da quel degenerato di Splinter che, non contento di mandare i suoi figli adottivi in battaglia contro orde di ninja assassini, pensa bene di fargli pagare pizze e oggetti vari. Del resto ogni scontro impone di presentarsi al top visto che quando una tartaruga morde la polvere resta sul campo una decina di secondi per permettere ai fratelli di essere rianimata, costringendo il giocatore a continuare la partita un numero limitato di volte nel caso tutti i protagonisti finissero col guscio al vento.
SHELL SHOCK…
Probabilmente la cosa più fastidiosa è l’assenza di una modalità per più giocatori in locale, un gradito ritorno al passato che avrebbe fatto guadagnare al gioco un punto o due, se realizzato con zelo. Invece è possibile giocare solo giocare online assemblando una squadra, selezionando stage e difficoltà e reclutando compagni umani, lasciando alla CPU il ruolo di ricoprire eventuali tartarughe mancanti. Queste picchiano durissimo, ma restano appannaggio del computer e non possono essere controllate a piacere come accade nel gioco in singolo. Nelle partite disputate assieme ad altri “disgraziati” l’esperienza si è rivelata fluida, tranne sparuti momenti in cui il gioco si paralizzava chiedendomi di aspettare gli altri per chissà quale ragione, tuttavia essere costretti a vivere l’avventura incatenati a 30 fotogrammi al secondo è l’ennesimo chiodo sulla bara di un gioco che si è rivelato una delusione cocentissima.
A poco servono l’eccellente audio che vanta colonne sonore e doppiaggio (questo, tra l’altro, particolarmente ispirato nell’edizione italiana) azzeccati e un buon cel-shading che non fa rimpiangere eccessivamente il tratto di Kevin Eastman, dato che il resto dell’esperienza è assolutamente dimenticabile. Peggio di Legend of Korra? Temo proprio di sì.
Teenage Mutant Ninja Turtles Mutants in Manhattan è un picchiaduro cosmeticamente rispettoso del materiale originale, tuttavia carente in ogni altro campo. Sic transit gloria mundi. Da un binomio perfetto come quello tra Platinum Games e le Teenage Mutant Ninja Turtles mi sarei aspettato ben altra cosa. Il sistema di combattimento caotico e privo di finezza, una longevità ridicola e un level design soporifero sono i peccati più evidenti di un minestrone davvero cattivo, che fa apparire prelibati, come una pizza appena sfornata, i vecchi successi come Turtles in Time o il misconosciuto Radical Rescue, precursore spirituale del leggendario Symphony of the Night creato da buona parte dello stesso staff del classico episodio di Castlevania, tra cui Hiroyuki Fukui come produttore. Rigiocate i titoli che ho citato, se proprio avete voglia di impersonare un corazzatissimo rettile antropomorfo armato di katana. Mutants in Manhattan, purtroppo, è un gioco mediocre a tutto tondo e gli incentivi presenti, come sbloccare o massimizzare tutti gli attacchi speciali, non bastano a giustificare un altro giro. Un vero peccato, Platinum.