That Dragon, Cancer è la storia di Ryan e Amy Green, genitori che hanno affrontato il peggiore degli incubi: veder morire il loro figlioletto colpito da una grave forma di cancro sin dai primi mesi di vita. Insieme al programmatore Josh Larson, e finanziati da una campagna Kickstarter di gran successo che ha permesso loro di raccogliere più di centomila dollari, i Green hanno deciso di raccontare la loro storia al mondo. La forma scelta da Larson è quella di un punta e clicca essenziale e la veste grafica quasi sempre allegorica, per un racconto che segue i pensieri di Amy di Ryan ma, sopratutto, del piccolo Joel.
VITE BREVI
That Dragon, Cancer ha la forma di una raccolta di racconti brevi, legati dal terribile percorso che segna l’aggravarsi della malattia di Joel. Ogni capitolo, da quelli più onirici a quelli più spietati e reali, ha a che fare con uno stadio diverso della malattia del bambino. Per mantenere il tutto il più tollerabile possibile nei momenti più difficili, That Dragon, Cancer fa ricorso a un linguaggio allegorico. La prima storia è una passeggiata in un parco dai colori tenui, dalle sfumature pastello, col male che penetra nell’idillio dei Green sotto forma di alberi neri che spuntano maligni tra i fusti colorati. Il Sole all’orizzonte tramonta e la risata di Joel si fa più distante. Il tentativo è confrontarsi nel modo più delicato possibile con questioni che altrimenti sarebbero davvero difficili da mandare giù. Anche la regia aiuta, da questo punto di vista, inquadrando con attenzione dettagli specifici e focalizzandosi su certi particolari che, da soli, raccontano ciò che succede in modo perfetto, persino più azzeccato delle parole messe in bocca ai personaggi.
That Dragon, Cancer cerca costantemente, e con ogni mezzo, di arrivare al cuore del giocatore
RACCONTO INTERATTIVO
Se dovessimo analizzarlo dal punto di vista ludico, That Dragon, Cancer ne uscirebbe con le ossa rotte. Parliamo di un concept ancora più essenziale di un walking simulator à la Stanley Parable: al giocatore è permesso solo di cliccare per spostarsi, e magari indugiare nell’esplorazione degli oggetti dello scenario; non c’è una sfida, non c’è un percorso, non c’è modo di vincere o perdere. Ogni tanto il gioco ci illude di dover risolvere un puzzle, eppure la narrazione prosegue lo stesso, passato un certo lasso temporale.
That Dragon, Cancer cerca costantemente, e con ogni mezzo, di arrivare al cuore del giocatore. Di certo l’argomento trattato dal titolo è spietato, capace di sconquassare lo stomaco di chiunque si approcci all’opera, ma si potrebbe allo stesso tempo giudicarlo con un po’ di malizia per il percorso diretto che imbocca praticamente subito verso la sensibilità e l’umanità del giocatore. L’esperienza, in questo caso si fa fortemente personale: ho trovato delle sessioni del gioco addirittura stucchevoli, anche e soprattutto per via della forte morale religiosa che cerca di inserire in modo strisciante nella lettura dell’opera. Nell’arco di qualche capitolo That Dragon, Cancer diventa una vera e propria parabola religiosa in cui la fede viene esaltata come unica vera consolazione possibile di fronte alla disperazione. Il processo mentale con cui si giudica un titolo come questo riguarda un’ulteriore scrematura: da ateo convinto sono stato infastidito dalla ingombrante presenza religiosa, ma per qualcun altro potrebbe essere assolutamente tollerabile e giustificabile. A seconda di come vi fa reagire la storia dei Green (che vi faccia venire la pelle d’oca o che non vi interessi affatto), il gioco sarà più o meno valido: d’altronde c’è davvero poca ciccia da spolpare attorno.
Nell’arco di qualche capitolo That Dragon, Cancer diventa una vera e propria parabola religiosa
Un titolo quasi impossibile da valutare secondo canoni oggettivi: la struttura è, mai come in questo caso, ridotta all’osso e la storia si affida totalmente alla sensibilità personale. Per quanto la vicenda narrata sia toccante e capace di trasportarti in un incubo con grande efficacia nei momenti migliori, in altri l’entusiasmo si smorza per sezioni non proprio brillanti né dal punto di vista dell’interfaccia, che purtroppo spesso risulta poco leggibile, né dal punto di vista della scrittura.