Anche se il ruolo del critico è spesso quello di dissezionare e infine valutare quando ci si trova di fronte a qualcosa che fa storcere il naso, si prova a non torcere il coltello nella piaga. Dietro ogni singolo videogioco, quadro, o canzone in cui ci si imbatte ci sono sempre ore e ore di passione, impegno e sacrifici. In questo caso, tuttavia, le cose andranno in maniera davvero diversa. Tom Clancy’s Ghost Recon Breakpoint è uno sparatutto open world senz’anima arrivato al lancio incompleto, con alla base un gameplay ripetitivo, una storia ridicola e un mondo noioso che manca di sviluppare in maniera profonda l’idea originale nel tentativo di diventare un “prodotto” in grado di attrarre un target incomprensibile. Con le sue microtransazioni, un sistema di progressione penoso, gli infiniti bug e tante pessime scelte di design, l’ultimo titolo Ubisoft non permette davvero di essere indulgenti. Tutti questi problemi vengono poi esacerbati dall’atteggiamento di sufficienza dimostrato nei confronti dei propri giocatori, visti esclusivamente come una fonte di guadagno.
IL PUNTO DI ROTTURA
Piuttosto che aspettare alla fine della recensione, questa volta vi darò il voto immediatamente: un bel 4. Sebbene abbia poco o nulla a che fare con la sua storia, il titolo è alla fin fine ironicamente azzeccato. In 40 ore di gioco sono arrivato infatti più volte al mio punto di rottura, arrivando addirittura a chiedermi se valesse la pena essermi innamorato del gaming.
L’inizio in realtà, non è poi così male. I primi menù che ci si ritrova di fronte sono curati e funzionali come ci si aspetta dai più pomposi giochi sulla piazza e, a parte il fatto che la creazione del personaggio non sia nulla di eccezionale, già mi sentivo pronto a godermi un po’ d’azione. La premessa su cui si basa Breakpoint è semplice e accattivante: i nostri fantasmi per la prima volta avranno pari per i loro denti, andando a scontrarsi contro un gruppo di soldati altrettanto speciali, in grado di usare la superiorità tecnologica. A fare da sfondo un arcipelago completamente isolato dal mondo, che ha sviluppato la propria piccola economia grazie alla visione futuristica di un miliardario visionario, proprio come la Rapture di Bioshock (magari giusto un po’ meno immersa).
Alla fin fine il titolo Breakpoint è ironicamente azzeccato
Da sempre i titoli Tom Clancy prendono pesante ispirazione da vere guerre e operazioni segrete, regalando così ai giocatori un’esperienza molto più “tattica” di quanto non ci si possa aspettare e la serie Ghost Recon (almeno nelle sue prime iterazione) non faceva eccezione. Gli ultimi arrivati tuttavia virano pesantemente dalle idee originali.
Ci si toglie la bandana da Solid Snake per indossare quella di Rambo
I nostri droni da ricognizione sono l’unico elemento a offrire un minimo di strategia, permettendoci di segnare e tracciare i nemici avvistati alla pari di quando li si punta con il fucile. Un’operazione in realtà tediosa e superflua, specie visto quanto risulti facile affrontare tutte le situazioni di petto. Prepararsi meticolosamente allo scontro, eliminando i nemici uno alla volta in totale silenzio, è in realtà niente più che una perdita di tempo, quando un minimo di mira basta e avanza a risolvere qualsiasi problema. Ma questo probabilmente gli sviluppatori lo sapevano sin dall’inizio. Una delle loro più peculiari decisioni è infatti quella di legare l’abilità di utile della mia classe all’utilizzo stesso del drone. La specialità del medico è quella di poter riportare in vita se stesso e i propri alleati anche dalla distanza: un’abilità davvero importante in solo, essendo praticamente un continue automatico che condivide il cooldown con il drone. Quando si è messi di fronte alla scelta tra “dare un’occhiata in giro” e “tornare in vita” la risposta può essere una sola, ossia correre come un pazzo squilibrato e seminare caos senza alcun ripensamento.
SUPER ARMI E NON PROPRIO SUPER SOLDATI
Non offrendo niente di davvero innovativo, il modo più veloce per descrivere il gameplay di Ghost Recon Breakpoint è un semplice “nella media”. Scrollarsi di dosso la sensazione che manchi sempre quel pizzico in più per rendere l’esperienza più emozionante è difficile. Il tutto è dovuto in buona parte al misero mordente e peggiora sensibilmente una volta che si equipaggia il silenziatore, che in puro stile hollywoodiano rende anche il fucile da cecchino rumoroso quanto una puzzetta di topo. Le armi sembrano avere lo stesso peso, differendo spesso molto poco l’una dall’altra, e la balistica è praticamente inesistente. I nostri proiettili non sembrano soffrire quasi per niente l’effetto della gravità, anche a lunghe distanze. Tutta la fase di combattimento ne risulta semplificata e l’unico vero sforzo richiesto per una vittoria facile facile è riuscire ad allineare il nostro colpo con la testa dei nemici. Una scelta voluta, confermata dalla presenza di un tratto da sbloccare con i punti abilità in grado di aumentare la gittata delle nostre armi e che mette in chiaro il livello di abilità che gli sviluppatori richiedono al giocatore.
Completamente diverso è invece il movimento, goffo e poco maneggevole, rallentato dalla decisione di mettere in primo piano alcune animazioni particolari nel tentativo di rendere il personaggio più credibile. L’esempio lampante arriva quando si affronta una discesa; che si tratti di una ripida montagna o di un sentiero con 5% di pendenza, il nostro stoico eroe mostra tutta la sua agilità iniziando a scivolare: la lunga animazione consuma la nostra stamina e può culminare in una rocambolesca caduta. Nonostante sminuisca non poco le abilità del protagonista, l’idea di per sé non è male ma visto il grande ammontare di “trekking” da fare e la poca resistenza del nostro personaggio diventa ben presto un’operazione tanto superflua quanto tediosa, che può essere solo in parte minimizzata dallo sbloccare un’apposita abilità passiva.
A mettere la ciliegina sulla torta ci pensa la ripetitività del combattimento, che diventa noioso in poche ore, e un’altra strana scelta di design che rende molto più impacciata qualsiasi azione si compia. Per interagire con scale, casse, nemici e quant’altro è necessario tenere premuto il tasto piuttosto che schiacciarlo semplicemente e la durata dell’operazione perdipiù varia in base alla distanza tra noi e l’oggetto del nostro desiderio. Questo porta a piccoli momenti di ilarità quando il tracking fallisce miseramente o non c’è davvero lo spazio sufficente per passare e il nostro eroe finisce per girare in tondo come una trottola.
Difficile scrollarsi di dosso la sensazione che manchi sempre qualcosa
LUPO O AGNELLO?
Più che una vera e propria campagna, le missioni che compongono la quest principale di Breakpoint sono una serie di situazioni e scenette gettate alla rinfusa. Nel 90% dei casi lo script è ripetitivo e scontato. I suoi “colpi di scena” si vedono arrivare lontani un chilometro e tutta la fatica fatta dagli attori – in primis Jon Bernthal, che ha provato proprio di tutto perché il suo super cattivo funzionasse – è gettata alle ortiche da dei dialoghi imbarazzanti, sia all’interno che fuori dalle cutscene. I personaggi sono tanto superficiali quanto banali e vengono introdotti in maniera repentina per poi venire scartati poco dopo. I capi dei lupi che andremo ad affrontare, quelli che sono a tutti gli effetti i miniboss del titolo, sono praticamente dei nemici base glorificati, a prescindere del modo in cui sono stati introdotti e quanto possano sembrare cazzuti in video. Piuttosto che creare il giusto campo di battaglia, dare loro abilità uniche e un minimo di pathos allo scontro, una volta raggiunta la base in cui si annidano lo scontro è già concluso. Ogni singola volta mi sono ritrovato a eliminarli senza troppe cerimonie, quasi per sbaglio, in mezzo alla valanga di soldati nemici fatti a brandelli dai miei mitragliatori. In realtà, anche solo accorgersi di aver ucciso il proprio obiettivo non è evidente perché, oltre una piccola spunta sulla sinistra nelle missioni in corso, non compare nessuna scritta particolare.
Come se tutto questo non bastasse, anche le missioni della campagna principale possono essere affrontate in ordine sparso, rendendo un filone logico già improbabile ancora più debole. Nel caso lo si voglia, si può tentare di affrontare il boss finale in qualsiasi momento, in maniera simile a quanto visto su The Legend of Zelda: Breath of the Wild. Sappiate, però, che Breakpoint ha tutta l’intenzione di giocare sporco pur di farvi spendere qualche ora in più in sua compagnia. Non solo il livello di difficoltà dell’ultimo scontro è artificialmente pompato da nuove meccaniche (e dal danno assurdo subito) ma a mettersi tra noi e la salvezza c’è anche un sistema di progressione totalmente arbitrario. Oltre al livello del proprio personaggio che permette di sbloccare via via sempre più abilità passive (un classico ormai non più relegato solo ai giochi di ruolo), il gioco si diletta a darne uno a qualsiasi pezzo di equipaggiamento. Alla base, un mitragliatore di livello 1 è in tutto e per tutto uguale a una di livello 200. Mirini, canne e quant’altro sono tutti venduti separatamente nel “negozio di Maria”. Sebbene a disposizione ci siano solo una manciata di armi per ogni categoria, che vanno dalle pistole ai fucili da tiratore, ognuna di loro può vantare diverse caratteristiche, la cui potenza varia in base al grado di rarità. Riuscire a trovare gli specifici effetti desiderati è quindi più una questione di fortuna che di abilità, specie contando che il titolo non premia in alcun modo i giocatori più esperti. Affrontare nemici teoricamente più pericolosi non porta a un loot migliore e gli oggetti che troviamo o guadagnamo sono esclusivamente legati al livello del nostro account.
Gioca sporco pur di farvi spendere qualche ora in più in sua compagnia
Anche in questo caso, Breakpoint fa pesante affidamento sulla fortuna: per ottenere un’arma del massimo grado di rarità sono serviti dai 6 ai 18 tentativi e non si ha alcun modo di metter bocca sui bonus della suddetta leggendaria, che potrebbero risultare in ogni caso assolutamente inutili. Come se non bastasse, non si può davvero mai fare con certezza il punto della situazione del proprio personaggio; seguendo il terribile esempio lasciato da altri esponenti del genere “looter shooter”, non esiste una vero e proprio modo di conoscere nel dettaglio i valori del nostro eroe, come il danno base e quello ottenuto dai bonus, la difesa e gli effetti secondari derivati dal suo equipaggiamento. Di conseguenza, al giocatore non resta che andare a tentoni e provare alla cieca di capire cosa il titolo gli vuole tenere nascosto con descrizioni improbabili dai significati nebulosi. Purtroppo, di celato c’è davvero tanto. Alcune armi oltre i bonus hanno in realtà anche dei malus quasi completamente impossibili da trovare e spesso controintuitivi. Questo l’ho scoperto per caso dopo aver creato un’arma con danno maggiore contro i droni che, solo ed esclusivamente nella schermata di “craft riuscito”, mi ha fatto gentilmente sapere che contro i “raid” questa avrebbe perso in efficacia; la stessa scritta non compare in alcun altro modo e, ad ora, non c’è alcun modo certo di sapere quanto questa sia veritiera.
non resta che andare a tentoni e provare alla cieca di capire cosa il titolo gli vuole tenere nascosto
IL COLPO DI GRAZIA
Come ogni tripla A che si rispetti, specie quando si parla di “Games as a service”, Ghost Recon Breakpoint vanta una quantità assolutamente impressionante di microtransazioni, varie edizioni speciali, bonus pre order, DLC day one e addirittura un season pass. Il suo negozio permetteva di comprare con moneta sonante praticamente qualsiasi cosa sin dal primo giorno di “beta”. Progetti per armi, cosmetici, emote, nessuna opzione è lasciata inesplorata, compresi modelli di monetizzazione simili ai Free-to-Play. Tra tutto, però, a far storcere il naso ai fan è stata la decisione di proporre i cosiddetti “time savers”, ovvero la possibilità di acquistare punti abilità, boost di esperienza per “livellare” più velocemente, materiali indispensabili al craft e kit di upgrade per le armi. Oltre a trivializzare il sistema di leveling, ammettendo involontariamente che si tratti a tutti gli effetti di una vera e propria perdita di tempo, Ubisoft ha quindi permesso ai giocatori più facoltosi di debuttare con un discreto vantaggio non solo nella campagna ma anche nella striminzita modalità PVP, dove molti di questi progressi potevano essere sfruttati a dovere. La travolgente risposta negativa della community ha fatto sì che almeno questo tipo di acquisti venissero prontamente rimossi dal gioco, con tanto di scuse e spiegazioni repentine dell’editore.
I problemi in realtà sono tutt’altro che finiti. Allo stato attuale Breakpoint pare molto lontano dall’essere davvero ultimato. Trattando letteralmente il gioco come un prodotto su cui creare il massimo profitto, sembra che si sia deciso di spingere sul mercato quello che potremmo definire un minimum viable product. Piuttosto che completare il progetto prima di farlo comprare dai propri acquirenti, Ubisoft ha fatto il minimo sindacale, vendendo la promessa di futuri ed eventuali miglioramenti. Gli indizi che suggeriscono che il titolo sia arrivato prematuro sono sotto gli occhi di tutto. La grafica è in grado di regalare allo stesso tempo scorci davvero maestosi e zone che tentano di competere in qualità con PUBG, i nemici hanno la strana abitudine di prendere a testate il muro e tentare invano di correrci attraverso, le onde trapassano il fondo delle barche e i PNG vantano giusto una manciata di frasi da ripetere all’infinito e risposte alla tua presenza che possiamo definire “surreali”. La musica singhiozza quando si passa dallo stato di allerta a quello di guardia, mentre il respawn è in grado di farti perdere tantissimi progressi, dimenticando il punto esatto in cui ci si trova nelle quest e spedendo il giocatore a centinaia di metri di distanza ogni singola morte. Questi sono solo alcuni dei problemi visti durante le mie 40 ore complessive di gioco, afflitte da problemi ai server che inficiano l’esperienza in multiplayer e in singolo. Si è costretti infatti, volenti o nolenti, a fare affidamento sui servizi online anche se si gioca completamente soli.
minimum viable product su cui creare il massimo profitto
Tom Clancy’s Ghost Recon Breakpoint è, dal punto di vista del gameplay, un’esperienza di gioco al massimo mediocre, impacchettata da tutte le peggiori pratiche che l’industria videoludica è in grado di regalare e completamente decimata da un livello di rifinitura imbarazzante. In tutto e per tutto, questo looter shooter sembra voler sperperare il suo ampio budget, mancando di sviluppare la sua premessa in un modo almeno lontanamente pieno di significato. Guardando dall’alto in basso i propri giocatori, abbandona qualsiasi parvenza ludica per svelare senza riserve la propria natura di becero prodotto, frammentandosi e rivendendo i propri pezzi nel tentativo di spillare qualche euro in più.