Parlare di storytelling, oggi, è sempre qualcosa di delicato, per il semplice motivo che spesso alla capacità di narrazione viene associata anche quella di manipolare il messaggio ad arte per costruire una comunicazione efficace. Lo storytelling, dicono, è la vera conoscenza di oggi, ma in verità lo è sempre stato. L’arte di creare storie e il bisogno stesso di condividere la realtà filtrata e arricchita dalla sensibilità, dalla creatività e anche dall’esigenza di promuovere e tramandare tradizioni e valori, sono nati con la comparsa dell’uomo sulla Terra. Non c’è nulla di più importante del raccontare e condividere storie, niente attraverso cui l’essere umano possa definire e negoziare meglio la sua identità. Where the Water Tastes Like Wine indaga proprio sull’importanza del mettere in comune, portando sulla scena il racconto dell’America della grande depressione in un’esperienza narrativa sulla falsariga di 80 Days, da cui recupera il motore di gioco, ma con una meccanica che si avvicina molto di più a quella di un boardgame.
ON THE ROAD
L’ambiziosa opera di esordio di Dim Bulb Games si configura come un vero e proprio viaggio on the road, che ricalca l’epica classica dell’esplorazione polverosa e senza meta dell’America, da una costa all’altra. A questo classicissimo topos si aggiungono temi iconici e identitari tipici degli Stati Uniti di inizio e metà Novecento, dalla crisi economica ai ricordi dei ruggenti anni ’20, passando per un folklore inquietante e affascinante che si interseca con le questioni sociali più rilevanti.Tutto è visto in chiave leggermente surrealista, dipinto su una tela dai toni sbiaditi, da racconto di frontiera, con un tratto illustrativo che alterna il grottesco al minimalismo e regala un impatto visivo forte, in grado di trasmettere il clima malinconico e ambiguo che domina sia il periodo storico che l’atmosfera del titolo. Where the Water Tastes Like Wine è pieno di simbolismi che si rifanno al mondo delle favole e a quello del folklore americano, a partire dal metalupo doppiato da Sting, che diventa presto una metafora del destino che costringe il giocatore, dopo una mano di poker dall’esito sorprendente, a vagare per l’America alla ricerca di storie.
Where the Water Tastes Like Wine è pieno di simbolismi che si rifanno al mondo delle favole e a quello del folklore americano
L’obiettivo ultimo è quello di scoprire i sedici archetipi su cui si basa la narrazione americana, altrettanti personaggi le cui storie vanno conquistate insieme alla loro fiducia. Per farlo, bisogna fisicamente andare a scovare 219 racconti minori in ogni angolo del paese, tra coltivazioni di cotone e città strillanti, affidandosi al vagabondaggio, all’autostop o ai treni.
L’opera di scrittura è sopraffina, e tutte le storie rappresentano una galleria della memoria davvero splendida
MORE WATER THAN WINE
Se l’aspetto prettamente narrativo di Where the Water Tastes Like Wine è sublime, e riesce a trasmettere in maniera perfetta il carattere culturale e folkloristico della produzione, il titolo di Dim Bulb Games inciampa un po’ quando si affrontano le meccaniche di gameplay vere e proprie.Il problema principale è che lo sforzo di contestualizzare e legare ogni aspetto narrativo a una dinamica precisa, per quanto mirabile, si è rivelato una sorta di collo di bottiglia dove l’estrema ricchezza di scrittura ha finito per strozzarsi e inficiare un po’ l’esperienza. Da un lato, infatti, pensare la dinamica di viaggio in maniera fisica su una plancia in stile JRPG si è rivelato un po’ un azzardo. Per quanto la meravigliosa colonna sonora provi a raccontarci l’America cambiando a seconda delle zona, il ritmo è lento e il leggerissimo sistema legato alla sopravvivenza ci costringe a lunghe camminate con la stessa canzone in loop e privi dell’adrenalina e del fascino della scoperta che un’esperienza del genere dovrebbe trasmettere.
pensare la dinamica di viaggio in maniera fisica su una plancia in stile JRPG si è rivelato un po’ un azzardo
Rispetto a un 80 Days, dove la gamificazione del viaggio proponeva una sfida affascinante e simpatica, il titolo Dim Bulb Games relega agli spostamenti una dimensione a metà strada tra la contemplazione e il boardgame, senza però valorizzare nessuno dei due aspetti. Anzi, quando il gameplay da gioco da tavolo si inserisce prepotentemente nell’esperienza, attraverso la necessità di equipaggiare le storie che troviamo in giro prima di affrontare la nottata con uno dei personaggi chiave, l’emozione di aver collezionato piccoli frammenti di realtà si trasforma in meccanica gestione delle narrazioni più efficaci.
I primi incontri sono bellissimi, intimi, speciali, e rivelano l’anima più brillante del gioco
Per certi versi, Where the Water Tastes Like Wine sembra quasi la parabola dello storytelling contemporaneo, che da bisogno puro, semplice e istintivo, si è trasformato in uno strumento di mera persuasione. Restano l’ottimo lavoro di scrittura e la messa in scena fantastica, e girovagando per l’America ho desiderato fortissimamente un titolo analogo ambientato in Italia, eppure – alla fine dell’esperienza – resta la sensazione che la proposta avrebbe potuto essere più dirompente e clamorosa di quanto non sia in realtà.
Where the Water Tastes Like Wine è un titolo che merita assolutamente di essere giocato per la cura delle storie proposte, per la splendida caratterizzazione culturale e per una cornice estetica affascinante, eppure mi è difficile consigliarlo a tutti. Per quanto originale e intrigante sia l’opera di Dim Bulb Games, a conti fatti è una produzione di nicchia con un gameplay un po’ sbilanciato e, soprattutto, meccanico a lungo andare. Se non pensate di correre il rischio di vedere la vostra sospensione di incredulità scemare alla vista della “matrice”, quello che resta è comunque un affascinante viaggio negli States, pieno di belle storie da raccontare.