In Cronos: The New Dawn il tempo si piega e la Viaggiatrice lo attraversa come un enigma vivente. Bloober Team costruisce un survival horror distopico che alterna un presente devastato a un passato in bilico, tra atmosfere opprimenti e meccaniche di sopravvivenza feroci. Omaggi e rimandi ai classici non mancano, ma l’identità resta netta: dura, angosciante e capace di mantenere la tensione fino all’ultimo respiro.
Sviluppatore / Publisher: Bloober Team Prezzo: 59,99 Localizzazione: Testi Multiplayer: Assente PEGI: 16 Disponibile su: PS5, Steam, Epic Store, Xbox Series Uscita: 5 settembre 2025
Presente, passato… cosa importa, per colei che sa muoversi nel tempo? La Viaggiatrice è un enigma che cammina, imperscrutabile nel suo scafandro, dal quale filtrano soltanto echi di una voce soffocata, stoica e decisa. La sua missione è salvare l’umanità fermando la catastrofe all’origine, o almeno questo è ciò che appare all’inizio. Il viaggio la porta indietro nel tempo, in una Polonia dove si intravedono i primi segni della tragedia. Lì dovrà raccogliere l’essenza di figure decisive, frammenti di un mosaico più vasto, il cui disegno completo resta ancora nascosto.
L’impatto iniziale è pesante: il presente della Viaggiatrice è un luogo arido, devastato e soffocato dalla biomassa, un grottesco amalgama di corpi umani straziati, eternamente congelati in smorfie di dolore, fusi tra loro e pronti a generare gli Orfani, mutanti assetati di sangue che infieriscono su ciò che resta della vita in un tempo ormai senza speranza. Nel passato, invece, i semi della catastrofe hanno un volto tristemente familiare: una pandemia con tanto di inviti a evitare assembramenti e a chiudersi in casa, un incidente in acciaieria e i primi, sinistri episodi di mutazione, testimoniati da persone che sembrano sapere troppo, persino riguardo visitatori provenienti da altre epoche…
L’INTRICATA DISTOPIA DI CRONOS: THE NEW DAWN
Passato e presente si intrecciano in una distopia affascinante, poderosa e maledetta, dove la razza umana consuma i suoi ultimi anni in un battito di ciglia. Le sue vestigia abbandonate restano la ragione che spinge la Viaggiatrice e la sua misteriosa setta ad andare avanti. Nella sua voce convivono determinazione e rassegnazione: il tono di chi conosce a memoria la storia, ma non esita a combattere pur di correggere il disastro. Cronos: The New Dawn, il nuovo survival horror dei polacchi Bloober Team (recentemente noti per la collaborazione con Konami e il marchio Silent Hill), ha carattere da vendere: forte di un’ambientazione straniante e magnetica, riesce a dipingere un quadro avvincente, rivelando un tassello del puzzle alla volta.

Oh no, ho perso tempo e quello sgorbio ha guadagnato una corazza. Colpirla farà rimbalzare i proiettili, quindi ora la precisione è un obbligo.
La Viaggiatrice parla di rado, ma ogni sua frase pesa come un macigno, mentre registrazioni, articoli di giornale, lettere e pagine di diario raccontano la caduta del genere umano negli ultimi, disperati anni di pandemia. Indubbiamente Bloober Team ha modelli molto precisi da cui trarre ispirazione. Un po’ come il collega siderale Isaac Clarke, anche la misteriosa eroina si cimenta in energici pestoni contro nemici a terra e oggetti da frantumare, ricalcando quasi perfettamente alcune animazioni già viste in Dead Space. Anche il sistema di potenziamento dell’equipaggiamento ricorda da vicino quello del titolo di Visceral Games: rari nuclei da reperire per migliorare la tuta e una valuta – qui una generica energia – da spendere presso terminali collocati all’interno di zone sicure, accessibili solo alla stirpe dei viaggiatori del tempo. I nemici, dal canto loro, vantano una meccanica peculiare: se in Dead Space la mutilazione degli arti era la chiave della sopravvivenza, qui è fondamentale il controllo totale del campo di battaglia.
Alcune sequenze di gioco fanno paura non tanto per la presenza di aberrazioni genetiche assetate di sangue, quanto per certe discutibili scelte di game design.
La biomassa ha infatti la spiacevole tendenza ad assorbire i resti dei caduti, generando mutazioni sempre più pericolose dopo un breve processo di assimilazione. Lasciare i corpi in bella vista è quindi un errore fatale: in mezzo al caos, un Orfano può approfittarne per riscrivere la propria struttura genetica e diventare una minaccia molto più letale, corazzandosi, aumentando forza fisica o acquisendo la capacità di rigurgitare acido. Per fortuna, la biomassa è estremamente sensibile al fuoco. Per questo motivo è vitale incenerire i cadaveri con il lanciafiamme in dotazione in un richiamo evidente ai Crimson Head del glorioso remake di Resident Evil per GameCube, un’altra fonte di ispirazione che Bloober Team non ha timore di omaggiare.
PIÙ IMPLACABILE DEL TEMPO CHE PASSA
Il problema principale risiede nella natura stessa del gioco, che spinge con forza l’accento sull’aspetto survival del survival horror. Le risorse sono davvero scarse e vanno gestite con estrema parsimonia all’interno dell’unico livello di difficoltà disponibile che, per inciso, non fa alcuno sconto. Fortunatamente la Viaggiatrice ha la capacità di creare istantaneamente, tramite comode scorciatoie, proiettili per le armi o kit energetici, purché disponga di materiali adeguati, come rottami o sostanze chimiche. Naturalmente questi non bastano mai, costringendo ad adottare un approccio cauto, spesso sfiorando un’anima oscura votata al trial and error. A complicare il tutto si aggiunge un inventario perennemente limitato, che va gestito di continuo. In quest’ottica, le cariche del lanciafiamme diventano un elemento critico: ne viene concessa una gratuita nelle zone sicure, ma una volta utilizzata si è costretti a tornare indietro per rifornirsi. Certo, è possibile crearne sul campo consumando risorse (e con il giusto potenziamento persino in quantità doppia), ma data la scarsità dei materiali non si tratta di una strategia sostenibile.

In puro stile Project Firestart, la sicurezza dell’acciaieria ci lascia un messaggio importantissimo.
A peggiorare la situazione, la distribuzione dei salvataggi automatici è estremamente rarefatta: in caso di morte si rischia di dover ripetere sezioni anche molto lunghe. In questo scenario, alcune sequenze di gioco fanno paura non tanto per la presenza di aberrazioni genetiche assetate di sangue, quanto per certe discutibili scelte di game design. Mi è capitato più volte di passare una grande quantità di tempo a fare la spola tra le aree sicure e i cunicoli organici: avanzando lentamente, eliminando i nemici, incenerendo i cadaveri sistematicamente, tornando indietro a rifornirmi e salvare manualmente la posizione.
Indubbiamente Bloober Team ha modelli molto precisi da cui trarre ispirazione.
Sequenze ridondanti che, francamente, non ho alcuna voglia di rivivere una seconda volta. Stabilire una longevità oggettiva è complicato: secondo gli sviluppatori la durata media si attesterebbe sulle quindici ore, ma personalmente ne ho impiegate di più, complice la necessità di gestire episodi come quello descritto in precedenza, che hanno inevitabilmente dilatato i tempi. Come ciliegina sulla torta, pesa l’inspiegabile assenza di una mappa, un problema da non sottovalutare in un gioco che fonda gran parte della sua identità sulla gestione delle risorse e sull’inventario limitato.
Quando si è costretti a lasciare alle spalle oggetti con l’intenzione di recuperarli in seguito, non è affatto semplice ricordare dove siano stati abbandonati. Il disorientamento aumenta ulteriormente con l’introduzione degli stivali magnetici, che permettono di camminare su certe pareti e librarsi verso piattaforme di atterraggio dedicate, riscrivendo non solo le regole della gravità, ma anche quelle del mal di testa! La volontà degli sviluppatori è chiara: proporre un titolo con una difficoltà old school, ma francamente gli anni in cui disegnavo le mappe di Waxworks sui quaderni a quadretti del liceo sono passati da un pezzo, e almeno questo aspetto preferivo lasciarmelo alle spalle.
RUVIDO, MA DIFFICILE DA ABBANDONARE
È un peccato che questa barriera possa scoraggiare i giocatori meno pazienti dal cimentarsi nell’avventura, perché la trama di fondo è estremamente affascinante e mantiene vivi gli interrogativi posti nelle prime ore, spingendo con forza la curiosità di scoprire come proseguirà la storia e quale ruolo imprevedibile avranno i viaggiatori del tempo nel destino dell’umanità.
La volontà degli sviluppatori è chiara: proporre un titolo con una difficoltà old school.
Da giocare, Cronos: The New Dawn non è affatto male, pur risultando oggettivamente derivativo. Anzi, alcune idee sono eseguite con grande efficacia. La tecnologia della Viaggiatrice le permette di alterare le anomalie, zone in cui lo spaziotempo si deforma creando distorsioni come detriti e oggetti sospesi in aria. Spesso si tratta di veri e propri “interruttori glorificati” per ricostruire paesaggi e sbloccare percorsi interrotti, ma talvolta è necessario trovare l’angolazione giusta e ripetere l’interazione, premiando il colpo d’occhio.
In altre situazioni, la manipolazione serve a rigenerare ordigni esplosivi, dando vita a dinamiche di combattimento in stile guerriglia: attirare i nemici, organizzare la lotta attorno all’esplosivo, far detonare gli Orfani, bruciarne i resti e gestire con precisione i secondi tra un’esplosione e la rigenerazione della bomba. Un potenziamento disponibile già nelle prime ore per la pistola consente inoltre di leggere l’energia vitale dei bersagli: utile non solo per monitorare l’andamento degli scontri, ma anche per individuare nemici apparentemente fusi alla biomassa che, se ignorati, possono risvegliarsi all’improvviso. È vero che, nella stragrande maggioranza dei casi, i nemici tendono ad assomigliarsi troppo, ma le loro capacità di fusione e, soprattutto, la costante tensione – sia essa genuina o figlia della scarsità dei salvataggi – riescono comunque a mantenere alta la tensione e rendere l’esperienza godibile. Il combattimento è sufficientemente viscerale da richiedere una buona dose di strategia: al netto dei resti da incenerire, ogni colpo deve contare. Mantenendo premuto il grilletto per alcuni istanti si può caricare la versione potenziata del fuoco, da indirizzare con precisione verso le zone non protette da corazze.
È un titolo che premia la curiosità e la strategia, capace di tenere vivo l’interesse del giocatore fino all’ultimo colpo e di lasciare una traccia duratura nella memoria.
Fortunatamente, l’energia investita nel potenziamento delle armi può essere recuperata e riutilizzata per migliorare un’arma successiva che magari si rivela più adatta al proprio stile di gioco. L’atmosfera è esaltata da una regia efficace e dall’uso sapiente dell’Unreal Engine 5 che, supportato da una colonna sonora capace di alternare silenzi inquietanti a melodie sinistre, riesce a dipingere con carattere lo scenario fatiscente e disperato di Nowa Huta, ovvero il quartiere industriale della nostra Cracovia. Le mappe offrono inoltre una discreta quantità di stanze e percorsi secondari da esplorare, utili per rifornirsi di materiali e degli elusivi nuclei. Spesso ciò comporta il deviare dal cammino principale indicato dalla fida bussola, ricorrendo ad attrezzi di fortuna – il tronchese, qui, è un po’ come il pastello giallo di Zak: serve sempre! – o sacrificando una carica del lanciafiamme per bruciare la biomassa che ostruisce un passaggio. Cronos non è perfetto, ma ha carattere: nonostante i punti negativi descritti nella recensione riesce a coinvolgere grazie a un’atmosfera densa e inquietante, a meccaniche di combattimento a suo modo originali e a un mondo sinistro e affascinante. È un titolo che premia la curiosità, la strategia e un pizzico di pazienza, capace di tenere vivo l’interesse del giocatore fino all’ultimo colpo e di lasciare una traccia duratura nella memoria.
In Breve: Giocare a Cronos: The New Dawn è un’esperienza che lascia il segno, non tanto per i momenti di puro spavento, quanto per il modo in cui riesce a immergerti in un mondo devastato, abbandonato e, al contempo, pericoloso. La sensazione costante è quella di camminare tra rovine e memorie distorte, sapendo che ogni passo potrebbe cambiare qualcosa, e che ogni scelta ha un peso reale sul destino della Viaggiatrice e su quello degli abitanti di un’umanità che lotta contro la propria fine. C’è una tensione sottile, persistente, che ti spinge a osservare, pianificare e valutare ogni azione con attenzione, come se fossi davvero parte di quel flusso temporale spezzato. È un gioco che resta impresso più per l’atmosfera e la costruzione del mondo che per la perfezione tecnica o per oculate scelte di game design, spesso farraginose e incapaci di funzionare perfettamente tutte assieme. Duro, a tratti frustrante, ma tutto sommato soddisfacente.
Piattaforma di Prova: PC
Configurazione di prova: Ryzen 7 5800X, RTX 4070 12GB, RAM 32GB 3600Mhz, SSD
Com’è, Come Gira: Giocato su PC alla risoluzione di 2560×1440 con tutti i dettagli impostati al massimo e il DLSS attivo, Cronos si è mantenuto costantemente attorno ai 90 fps, senza ricorrere alla generazione dei frame e con il limite agli fps disabilitato. L’attivazione del ray tracing ha comportato qualche calo evidente nelle prestazioni, motivo per cui alla fine è stato disattivato: l’impatto visivo, infatti, non risultava tale da giustificare la perdita in fluidità. Nel complesso l’esperienza si è rivelata solida e stabile, priva di problemi tecnici degni di nota, arricchita inoltre da un buon numero di opzioni pensate per l’accessibilità, a beneficio dei giocatori con diverse forme di disabilità.