Ghostwire: Tokyo è la nuova creazione di Shinji Mikami, un action in prima persona ad alto tasso di elementi soprannaturali che però non riesce a convincere a pieno.
Sviluppatore / Publisher: Tango Gameworks / Bethesda Softworks Prezzo: 59,99€ (PC), 74,99€ (console) Localizzazione: Completa Multiplayer: Assente PEGI: 12 Disponibile Su: PC (Steam, Epic Games Store), PS4, PS5 Data di Lancio: 25 marzo
Ci vuole un certo phisique du role per apprezzare appieno Ghostwire: Tokyo. Può aiutare un amore smisurato per la metropoli giapponese, giacché la riproduzione di Shibuya e dintorni si qualifica senza mezzi termini come il punto di forza del gioco. Forse l’unico, a ben vedere. Le pozzanghere che riflettono neon e luci, le inconfondibili architetture e quell’ineguagliabile convivenza tra modernità e rigoroso classicismo sono orchestrate con dovizia da Tango Gameswork, al netto di una fluidità schizofrenica che mostra il fianco a vistose emorragie di fotogrammi spesso e volentieri, nonostante cinque diverse modalità di visualizzazione (non solo le oramai famose “prestazioni” e “qualità”, dunque) cerchino in ogni modo di accontentare il giocatore.
Quello è in realtà un problema secondario, che magari qualche patch riuscirà a limare a sufficienza per garantire sessanta fotogrammi fissi sempre e comunque. Un giorno lontano, o magari anche al day one, grazie a un aggiornamento che ci è già stato annunciato; il quando, però, non fa differenza, perché i problemi del gioco sono altri, riassumibili in una mesta mancanza di ambizione.
LA CICLICA NATURA DI GHOSTWIRE: TOKYO
Ripetitivo: ecco l’aggettivo che descrive perfettamente Ghostwire: Tokyo, un gioco che sulle prime pare avere tutte le carte in regola per conquistarti. Il giovane Akito e la sua collaborazione forzata con lo spirito di un uomo chiamato KK funziona bene, con la voce dell’ultraterreno coinquilino che si fa sentire dallo speaker del pad. La loro sinergia è brillante, e le prodezze marziali che porta in dote sono ugualmente apprezzabili. Sotto la guida del misterioso compagno, Akito può evocare gli elementi per affrontare i Visitatori, una stirpe di spiriti malvagi a cui piacciono gli ombrelli. Ma ne riparliamo tra un attimo. Akito, dicevamo, scatena proiettili di vento, falci d’acqua e saette infuocate con nervosissimi movimenti delle mani per rivelare il nucleo che si cela nel cuore dei suoi spettrali nemici, da strappare per obliterare le forze del male in un tripudio di effetti particellari. Assieme a un arco consacrato e una scorta di amuleti dai molteplici usi, la sensazione che pervade il giocatore è quella di impersonare un esorcista fighissimo uscito da un manga come Kujaku-Oh.
Poi il sogno finisce. Le opzioni di attacco sono sempre quelle per il resto del gioco, e potenziare i vari elementi o la velocità con cui si annientano i nuclei non aggiunge di certo varietà all’arsenale. Allo stesso tempo, i nemici sono tutti uguali, infiniti eserciti di cloni dello Slender Man con ombrello a seguito, inframmezzati ogni tanto da qualche miko spettrale e orde di scolari decapitati amanti delle risse corpo a corpo.
Ghostwire: Tokyo scopre le sue carte nelle primissime ore senza aggiungere idee degne di nota
ATTIVITÀ PARANORMALI
Come premio ci sono i punti esperienza con cui salire di livello e soldi. Tanti, troppi soldi: la Tokyo di Tango Gameworks gode di un’economia rigogliosa, dove restare al verde è praticamente impossibile. Già nelle prime ore avevo il portafogli gonfio e l’inventario straripante di frecce, talismani e oggetti curativi (un’altra cosa che non manca mai) senza la minima idea di cosa fare per dilapidare un patrimonio che continuava a crescere senza una reale utilità.
Le attività secondarie sono altalenanti, e vanno da dimenticabili fetch quest a spicchi di narrazione più intensa
Un altro compito riguarda la salvaguardia degli spiriti dei poveracci evaporati all’arrivo della mefitica nebbia che ha invaso Shibuya; fluttuano indifesi e vanno messi al sicuro in un talismano, prima di essere trasportati fuori dalla zona “contaminata” grazie alle cabine telefoniche. Dall’altra parte, lo schivo partner di KK le attende per reinserirle nei loro corpi e portarle in salvo. Sì, anche a me pare una boiata colossale, tuttavia è a grandi linee tutto quello che c’è da fare. Con una longevità che si assesta sulle dieci ore di gioco, vi consiglio di iniziare subito affrontando i livelli più impegnativi, visto che non sono morto neppure una volta alla difficoltà normale. La trama purtroppo vive di alti e bassi, visto che Tango Gameworks pare abbia voluto collocare la narrazione in secondo piano rispetto all’esplorazione. Il risultato è una cadenza disarticolata, dove buona parte dei pochissimi boss e delle rivelazioni viene condensata nelle ultime ore. Il risultato è un’opera bizzarra che fatica a trovare una direzione, persa nella nebbia di Tokyo. Un vero peccato.
In Breve: Ghostwire: Tokyo è un gioco che non riesce a esprimere il suo potenziale, intrappolate da una scarsa ambizione e da un open world vecchio stampo privo di stimoli. La presentazione audiovisiva è pregevole, seppur fallata, ma da sola non è in grado di risollevare un gioco breve e monotono. Un gran peccato.
Piattaforma di Prova: PS5
Com’è, Come Gira: Ghostwire: Tokyo fatica a mantenere i 60fps in modalità prestazioni, specie quando si scruta la metropoli dall’alto. Dopo un po’ di prove ho personalmente optato per la visualizzazione con fotogrammi sbloccati e V-Sync al prezzo di un livello di dettaglio minore. Con cinque differenti modalità grafiche consiglio comunque di fare qualche prova per trovare quella che fa per voi.