Keeper – Recensione Xbox Series X

PC Xbox Series X

In Keeper non c’è limite alla fantasia: un faro può perfino prendere vita e, insieme al suo amico pennuto, intraprendere un viaggio silenzioso carico di luce e metamorfosi.

Sviluppatore / Publisher: Double Fine Productions / Xbox Game Studios Prezzo: ND Localizzazione: Testi Multiplayer: Assente PEGI: 7 Disponibile su: PC (Steam, Microsoft Store), Xbox Series X|S Data di uscita: 17 ottobre

Double Fine Productions è un nome che, per molti appassionati, significa sperimentazione, ironia e personalità. Da Psychonauts a Brütal Legend, passando per titoli più di nicchia come Stacking e RAD, lo studio ha sempre cercato di spingere i confini del videogioco come medium, non temendo mai la sferzata di lucida follia che ne è il marchio di fabbrica.

Oggi, sotto l’egida di Microsoft/Xbox Game Studios, il team guidato da Lee Petty (già Creative Lead di perle come Stacking e RAD) presenta un adventure/puzzle game dall’ambizione a dir poco inconsueta: Keeper. L’ultima fatica non vuole essere la più grande, ma di certo la più strana e meditativa.

DOUBLE FINE, METAMORFOSI E LA SFIDA DEL SILENZIO

Con Keeper, Double Fine opta per una narrazione senza parole, che funziona per sottrazione anziché per sovrapposizione: nessun dialogo, nessuna didascalia, solo la densità del mondo e la cura dei dettagli visivi e sonori per suggerire emozioni, legami e una profonda metamorfosi. La premessa è semplice e insieme straordinaria. Su un’isola fuori dal tempo, un vecchio Faro, rimasto inattivo per eoni, si risveglia. Scosso da un lampo e da un uccello marino (il “vivace” Ramoscello) che si posa sulla sua sommità per sfuggire a una minacciosa tempesta viola – la chiamano The Wither –, il faro si anima. La sua antica struttura crolla per poi, in un guizzo di inspiegabile metamorfosi, alzarsi su quattro zampe scheletriche. Ha acquisito coscienza. Insieme al volatile, il Faro inizia un viaggio verso il picco centrale dell’isola, tra vegetazione mutata, architetture caotiche e fenomeni strani, muovendo i primi incerti passi in un’epopea di amicizia improbabile.

Keeper

Con un art style così, le parole non servono.

Il primo impatto con Keeper è… bizzarro. Muovendo i primi passi impersonando il Custode – il faro – ci si sente un po’ come quando si cerca di raccapezzarsi osservando un quadro surrealista. Non a caso le fonti d’ispirazione estetica attingono a piene mani dal surrealismo di Max Ernst e Salvador Dalì, ma anche dalle atmosfere stranamente familiari e profondamente alien di opere come The Dark Crystal o Nausicaä della Valle del Vento. L’estetica è stata definita dagli autori “weird, but chill,” cioè strana, ma rilassata, e ci vuole poco per capire perché; l’isola è un tripudio di paesaggi al limite della comprensibilità: coste frastagliate con scheletri di creature non identificabili, vallate lussureggianti con fauna e flora di una bellezza tanto technicolor quanto inspiegabile.

l’estetica è definita dagli autori “weird, but chill,” cioè strana, ma rilassata

Tutto è organico, psichedelico, vibrante, illuminato da funghi bioluminescenti e raggi di sole che inondano lo schermo. L’obiettivo degli sviluppatori è chiaro: invitare il giocatore a non cercare la razionalità, ma a rifiutarla per sentirsi veramente libero di interpretare ciò che vede in questo sogno lucido. Le inquadrature, attentamente coreografate da telecamere fisse, non sono solo un vezzo stilistico per esaltare la grandezza e la follia del mondo, ma un elemento di game design cruciale che, sovente puntualmente, orienta lo sguardo del giocatore verso l’indizio, il percorso o l’azione successiva.

LUCE E MECCANICHE IN CONTINUA MUTAZIONE

Il gameplay di Keeper si concentra sull’interazione del Faro e del suo alato aiutante con l’ambiente circostante. Nei panni della torre ambulante, il giocatore ha due strumenti principali. Il primo è il movimento stesso, lento e deliberato, che scandisce il ritmo del viaggio. Il secondo, fondamentale, è il fascio di luce. Questo non è un mero spotlight: è un catalizzatore, un agente di cambiamento. Puntandolo, è possibile osservare gli effetti più disparati: piante che crescono, minacce che si ritirano, creature aliene che reagiscono aprendo nuovi passaggi. È l’elemento di scoperta per eccellenza: ogni enigma, ogni barriera richiede di “illuminare” la strada in modi sempre nuovi.

Per indicare a Ramoscello un’interazione, bisogna illuminare i punti indicati dal bagliore blu. 

Poi c’è Ramoscello. Il volatile è, di fatto, l’estensione delle “mani” del Faro, la sua esilità è essenziale. La luce può essere utilizzata per guidarlo verso oggetti interattivi specifici, permettendogli di spingere, tirare o attivare meccanismi che la pesante e impacciata struttura del Faro non può raggiungere. Il loop di gioco è chiaro: esplorazione, puzzle, esplorazione. Il mondo di gioco ha una parte attiva in termini di gameplay, non si tratta di una semplice serie di sfondi da ammirare passivamente.

la vera forza di Keeper risiede nella sua volontà di cambiare le regole in corso d’opera

Tuttavia, la vera forza di Keeper risiede nella sua volontà di cambiare le regole in corso d’opera. Keeper non si basa sul padroneggiare una singola serie di meccaniche, è più un’odissea di scoperta continua. Un’area può introdurre la capacità di riavvolgere il tempo in un villaggio di robot a orologeria. Un’altra ti vede ricoperto di vegetazione batuffolosa, il che ti dona l’abilità di saltare e fluttuare, trasformando brevemente l’esperienza in un platform quasi inatteso. Mi fermo qui perché sarebbe un crimine rovinarvi la sorpresa, ma sappiate che l’obiettivo degli sviluppatori è non annoiare mai e, soprattutto, non creare frustrazione. Mai.

UN INNO ALLA NON-SCONFITTA: CHILL GAME CON AMBIZIONI POETICHE

Una delle decisioni più radicali di Keeper è l’assenza di un vero e proprio stato di fallimento. Non si muore, non c’è un modo per “perdere.” I puzzle sono intrinsecamente legati alla narrazione e non sono pensati per creare impasse snervanti. Se non sai cosa fare, la risposta è quasi sempre continuare ad andare avanti e sperimentare. Questa scelta di design eleva l’esperienza da un mero puzzle game a un’opera profondamente contemplativa, invitando il giocatore a soffermarsi, a “vivere nel mondo” senza la pressione del timing o della prestazione. L’approccio è light, privilegiando la scoperta e la meraviglia all’ostruzione e, di conseguenza, alla sfida.

Quel “batuffolosa” non era usato a caso.

È qui però che emerge il limite più significativo del titolo. Se da una parte l’esperienza “chill” è vincente, dall’altra Keeper rinuncia quasi del tutto a una sfida degna di questo nome. Il gameplay è funzionale all’atmosfera, indubbiamente, ma non ambisce mai a una complessità di interazione o risoluzione di enigmi che appagherebbe gli amanti dei puzzle game puri. La sensazione è che Double Fine abbia osato troppo poco sul fronte della sfida meccanica, sacrificando la profondità di gioco sull’altare della pura suggestione. Apprezzare o meno il suo ultimo progetto, dunque, dipende non tanto dalla sua qualità ma da ciò che si cerca.

Se da una parte l’esperienza “chill” è vincente, dall’altra Keeper rinuncia quasi del tutto a una sfida degna di questo nome

Oggettivamente, la direzione artistica deliziosamente surreale, emotivamente potente e altamente suggestiva svolge un ruolo importante, oserei direi che è proprio lei la vera protagonista dell’esperienza. Keeper è l’antitesi dell’ultimo blockbuster iper-tecnologico: è un piccolo ed elegante viaggio che, pur non durando più di sei/otto ore, lascia un segno profondo. È un’esperienza atipica, consigliata a chi è stanco di grinding, azione o tutorial e cerca qualcosa di intimo, introspettivo, artisticamente visionario ma non impegnativo. È l’essenza di Double Fine condensata in un faro a zampe che cammina verso il sole. Se avete Game Pass e una mente aperta quanto un cielo stellato dipinto da Van Gogh, non c’è scusa che tenga: dovete provarlo.

In Breve: Keeper è un’avventura-puzzle poetica in cui ti ritrovi nei panni di un faro senziente che, con l’aiuto di Ramoscello, esplora un’isola mutante. Il fine è dissolvere le tenebre sfruttando la sua stessa luce e, soprattutto, la sua incrollabile determinazione. Senza parole né morte, senza ostacoli veri e puzzle elaborati, il gioco punta tutto su atmosfera, metamorfosi e suggestione visiva. Il gameplay, basilare se inteso come enigmi, ruota attorno al fascio di luce e all’azione contestuale di Ramoscello, mantenendosi intenzionalmente leggero e poco complesso sul fronte della sfida per spingere con maggior convinzione sulle emozioni, sulla potenza delle immagini e sulla libera interpretazione.

Piattaforma di Prova: Xbox Series X
Com’è, Come Gira: La build provata su Series X si è dimostrata fluida per la maggior parte del tempo, con caricamenti discreti, salvo dei cali di frame rate sul finire dell’odissea. La direzione artistica è sublime, sia nell’esaltare le capacità della console sia nel mettere in scena uno spettacolo visionario, con un’illuminazione e una gestione del colore di alto livello. I controlli sono semplici e reattivi, perfetti per il tipo di esperienza.

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Pro

  • Direzione artistica onirica e surrealista dirompente / Evoluzione delle meccaniche piacevole / Alcuni scorci sanno lasciare a bocca aperta

Contro

  • Puzzle e gameplay molto basilari / Il ritmo compassato non è adatto a tutti così come la narrazione per sottrazione / Più esperienza meditativa che gioco vero e proprio
8

Più che buono

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