Allo stesso modo, prese il calice, rese grazie, lo diede ai suoi discepoli, e disse: prendete, e bevetene tutti. Questo è il calice del mio Sangue, versato per voi e per tutti in remissione dei miei peccati. Fate questo in memoria di DOOM. Che su Neon White il divino è di casa.
Sviluppatore / Publisher: Angel Matrix / Annapurna Interactive Prezzo: 21,99€ Localizzazione: Testi Multiplayer: Assente PEGI: 12 Disponibile Su: PC (Steam), Switch Data di Lancio: Già disponibile
Giocando a Neon White mi sono ritrovato a perdonare John Romero. Non l’avevo mai fatto davvero. Portavo dentro quel rancore residuo che non riesci mai davvero a superare, che continui a provare inconsciamente anche dopo che hai fatto pace ben sapendo che le cose non potranno mai tornare quelle che erano prima. Almeno fino a Neon White. Perché Neon White è DOOM così come era prima, come lo giocava Il Chirurgo prima di morire per i suoi peccati. Parola del Signore.
IN QUEL TEMPO (CHE FINISCE SULLA LEADERBOARD)
Ci siamo assuefatti a un videogioco sempre più grande. Chilometri quadrati di pixel dietro lo schermo. Linee di dialogo sempre più fitte. Sessioni di escapismo sempre più lunghe, sempre più in apnea mentre ci immergiamo per ore in questi mondi virtuali. Neon White prende tutto questo e lo comprime in partite di trenta secondi. Il che non vuol dire che duri poco, anzi, puntando al 100% – c’è un altro modo, di giocare Neon White? – il contatore delle ore supera facilmente la ventina. Ma sono ore reclamate un quarto di miglio alla volta, partite giocate e rigiocate ossessivamente in quantità per colpa della qualità che l’esperienza mostra quando le sue linee di codice diventano gameplay. L’idea dietro Neon White è molto semplice: cosa succede portando il concetto di speedrun ai massimi termini? Ben Esposito vuole provare la sua teoria, secondo la quale il videogioco in questa situazione non è più tanto una questione di skill, quanto di puzzle e memoria muscolare. È esattamente quello che faceva John Romero nel 1993, quando completava i livelli del suo Doom ottenendo il punteggio più alto possibile cercando la strada più consona al suo titolo di Chirurgo. Ma quello che succede nella pratica portando il concetto di speedrun ai massimi termini si può riassumere in una sola parola: assuefazione.
I dorsali e i grilletti di Nintendo Switch diventano un pianoforte di quattro tasti, necessari e sufficienti per comporre arte come se fossimo musicisti austriaci. Ogni nota stonata riverbera per tutto il teatro, rovinando una ricerca del miglior tempo fino a quel momento perfetta. Paganini non ripete. Mozart, come noi, sì. Deve. Perché è impossibile non ripetere Neon White finché l’esecuzione non diventa impeccabile, raggiungendo la medaglia di platino. Magari andando anche oltre, per il semplice gusto di segnare un tempo migliore di quelli nella propria classifica amici o nella leaderboard globale – chiaro, se e quando questa si degna di caricarsi. Neon White è davvero tutto qui, il resto è un orpello ad uso e consumo dei completisti, un modo alternativo per sfidare il level design delle mappe da un punto di vista più architettonico che ritmico. Per raggiungere i tempi migliori bisogna imparare il tracciato, trovare la scorciatoia, capire il puzzle. I segreti sono spesso e volentieri un’altra storia su un’altra strada. Servono? Sì e no. Aggiungono una dimensione a un gioco altrimenti unidirezionale, e considerando che diventano il pretesto per poter giocare dei livelli extra dove la formula di base twista e sperimenta su sé stessa è difficile considerarli accessori. Dall’altra parte però tutto quello che non è puro gameplay in Neon White è un orpello.
NEON WHITE: KILL THE PAST
Quando non si spara in Neon White si legge. Vista l’impostazione da Visual Novel e l’umore sfacciatamente nipponico è davvero difficile non pensare a Suda51. Anche l’espediente narrativo alla base di tutto, l’amnesia di White una volta arrivato in paradiso all’inizio del gioco, si rifà ad un tropo tipico delle produzioni giapponesi, mettendo il giocatore nella posizione di voler riacciuffare almeno qualche frammento del passato del suo avatar mentre ci si chiede se sia proprio necessario andare a disturbare un passato ormai morto come il protagonista.
C’è qualche sbavatura dal punto di vista meccanico, ma si tratta davvero di piccolezze
Il vero problema, in realtà, è che le sezioni giocate sono così assuefacenti da far vivere tutto il resto quasi come un fastidio. Non ci sono difetti veri e propri al netto di quella sbavatura a livello di interfaccia. Semplicemente tutto il resto spicca troppo. “Ah si, c’è anche una trama”, ma alla fine non ci interessa davvero. Si torna di nuovo a DOOM, questa volta bussando all’altro John dietro il gioco che ha cambiato i videogiochi, Carmack e il suo paragone tra la narrativa nel medium e quella nei film porno. Giocando Neon White viene la tentazione di dargli ragione. Certi videogiochi non hanno bisogno della trama. Anche se c’è e anche se non c’è una vera ragione per ritenerla di troppo, se non il fatto che il gameplay è in cima alla catena alimentare di un genere che non è davvero mai morto. O forse è risorto proprio in questi anni per permetterci di rendere di nuovo grazie a Dio.
In Breve: Neon White è lo stato dell’arte per quanto riguarda l’attitudine arcade, il giocato a 300 chilometri orari di chi e per chi non vede l’ora di perdersi nel suo mondo trenta secondi alla volta. Si gioca con quattro tasti, eppure riesce a incantare per ore, giorni, un’altra partita e poi spengo e poi ti accorgi che si son fatte le tre.
Piattaforma di Prova: Nintendo Switch
Com’è, Come Gira: È uno di quei pochi titoli capaci di girare praticamente sempre a 60 frame al secondo anche sull’ibrida Nintendo. Anche in modalità portatile, dove tipicamente la macchina va più in affanno e negli ultimi anni ha fatto invocare a gran voce una revisione più carrozzata. Neon White in ogni caso non ne ha bisogno.