In questi giorni, mentre gli uffici di comunicazione dei publisher, i PR e un bel po’ della stampa specializzata discutono animatamente della “morte del single player”, di come il futuro dei videogiochi sia solo online eccetera eccetera, arriva B.J. Blazkowicz come solo lui sa fare, con due enormi mitra spianati, uno per braccio, a massacrare nazisti e a dimostrare al mondo intero che no, il single player non è per niente morto, e anzi ha ancora un sacco di cose da dire. Arriva tra l’altro in un periodo storico nel quale lo scenario ucronico in cui è ambientato Wolfenstein II: The New Colossus appare molto meno distante e inconcepibile di quanto non lo fosse tre anni fa. Ma non divaghiamo.
B.J. COME NON L’AVETE MAI VISTO PRIMA
Da sempre, Wolfenstein è sinonimo di sparatutto, adrenalina e nazisti da far fuori senza tanti complimenti. Il reboot del 2014 di MachineGames, però, era riuscito a riportare in vita la serie con un’operazione magistrale, che fondeva l’azione over the top con una narrativa di prim’ordine, regalando al mascelluto e – fino a quel momento – anonimo protagonista una profondità e una ricchezza davvero inaspettate. A questo giro, lo sviluppatore svedese ha abbandonato ogni indugio e ogni riserva, pigiando fino in fondo sul pedale dell’eccesso, mettendo in scena una narrazione potente e corale come non se ne vedevano da un pezzo. La prima scena di intermezzo è semplicemente pazzesca, tra i ricordi di un’infanzia di maltrattamenti, il rapporto con la madre e alcuni flashback che riprendono gli avvenimenti passati e si fondono col presente. La cosa ancor più pazzesca è che si tratta solo del timido, quasi ingenuo inizio di un viaggio allucinante nel cuore di tenebra della nostra mente e delle nostre paure; un giro di giostra tra le follie e le degenerazioni di cui è capace l’uomo, ma anche una bellissima storia d’amore, un liberatorio racconto di ribellione che non si nasconde dietro nessun finto perbenismo, che non si preoccupa di disturbare e inquietare, di mostrare il lato peggiore di noi, ma al tempo stesso anche quello più bello e autentico.
il single player non è per niente morto, e anzi ha ancora un sacco di cose da dire
SÌ, MA IO VOGLIO SPARARE AI NAZISTI!
Giusto. Wolfenstein II è, innanzitutto, uno shooter in prima persona. Nel secondo capitolo ritroviamo il riuscito mix tra ignoranza caciarona e stealth, reso possibile da una ricchezza di opzioni tattiche e da un level design quasi sempre piuttosto ispirato. Ci si può muovere nell’ombra e eliminare silenziosamente i nemici senza farsi notare, oppure optare per un ingresso in scena molto più rumoroso e fracassone, che però tende a rendere le cose più complicate. Ancora una volta, in onore alla tradizione, il livello di difficoltà è abbastanza alto, superiore alla media degli shooter moderni: è comunque possibile cambiarlo al volo in qualsiasi momento, scegliendo tra i ben sette disponibili (l’ultimo si sblocca alla fine della prima run), così da agevolare chi dovesse trovarsi in crisi nel portare a termine alcuni passaggi. È disponibile anche la funzione di salvataggio manuale, per chi non ha voglia di ripartire sempre dall’ultimo checkpoint (i punti di autosave sono comunque tanti e abbastanza ben disposti).
Decisamente migliorato, rispetto al primo capitolo, il senso di progresso e di crescita di Blazkowicz: a seconda di come si decide di affrontare gli scontri, si sbloccano abilità e perk che assecondano in maniera naturale lo stile di gioco di ciascuno (uso di armi pesanti, colpi alla testa, uccisioni silenziose, ecc.). Nascosti qua e là per i livelli si trovano inoltre kit di potenziamento per le armi, che permettono di applicare modifiche al proprio arsenale – e di cambiarne dinamicamente l’assetto mentre si combatte – in maniera più libera, per esempio montando silenziatori o mirini ottici per chi predilige l’approccio stealth, o ulteriori boost nella potenza di fuoco per chi ama il caos. Nel corso della partita troveremo inoltre potenziamenti per B.J. stesso che gli permetteranno di muoversi in spazi angusti, sfondare porte e ostacoli a spallate, o saltare più in alto per raggiungere luoghi altrimenti inaccessibili; in maniera forse un po’ forzata, il level design delle mappe si occupa di offrire adeguate opportunità di scelta in tutti e tre i casi, regalando al giocatore la massima libertà di approccio. Le missioni sono sempre consistenti con la trama e con quello che succede, non puzzano mai di forzatura, a testimonianza di una grande capacità di MachineGames di saper comunicare con efficacia anche il gameplay. In un titolo “ibrido” come questo ci si scontra inevitabilmente con alcuni limiti, specialmente per quel che riguarda lo stealth, piuttosto elementare, che per esempio non permette di nascondere cadaveri, e non dà modo di capire la posizione dei nemici, se non uscendo spesso allo scoperto per vedere dove sono, e di conseguenza rischiare di farsi scoprire.
Le missioni sono sempre consistenti con la trama e con quello che succede, e non puzzano mai di forzatura
Colpisce, però, quanto riescano a essere gratificanti entrambi gli approcci: l’idea di eliminare un nazista alla volta è sempre allettante, ma anche quella di massacrarli tutti impunemente, roba da far scattare apposta gli allarmi, compiere una strage e magari ricaricare dall’ultimo checkpoint perché insomma, riuscire a non farsi scoprire regala sempre un certo qual senso di appagamento. Anche se, quando l’obiettivo della missione è “Uccidili tutti”, sai che non potrà che finire benissimo. Come nel primo Wolfenstein, anche qui c’è la possibilità di sparare con due armi contemporaneamente: addio precisione o accuratezza, ma che gusto! In generale, il feeling delle armi è eccellente, così come il loro “peso”. Oltre a quelle più tradizionali, uccidendo i nemici più grossi si raccolgono anche quelle pesanti, dalle munizioni più limitate ma con una potenza oltre il devastante. La parte forse meno convincente delle sparatorie è l’IA dei nemici: questi tendono un po’ troppo a muoversi in maniera autonoma, a venire addosso al giocatore e cercare riparo da qualche parte, senza mai costruire vere strategie di accerchiamento.
OK, E ADESSO CHE HO AMMAZZATO TUTTI I NAZISTI?
La campagna principale porta via tra le dieci e le dodici ore, a seconda di quanto volete tenere alto il livello di sfida, ma una volta arrivati ai – bellissimi – titoli di coda rimangono comunque diverse cose da fare. Rigiocarlo da capo, innanzitutto: all’inizio della partita ci sarà infatti da compiere una scelta abbastanza importante, che cambia molte delle conversazioni e delle scene di intermezzo, e mette a disposizione un’arma diversa per B.J.. Ci sono poi vagonate di collezionabili (bozzetti, dischi musicali, documenti e tanto altro ancora), sparsi per le mappe di gioco e sul Martello di Eva, il sottomarino che funge da hub principale. Qui si trovano poi diverse attività collaterali: piccole quest secondarie assegnate dai membri dell’equipaggio e che una volta portate a termine regalano potenziamenti per i power-up di Blazkowicz, ma soprattutto le missioni di assassinio dei gerarchi nazisti, una piacevolissima aggiunta alla campagna principale. Eliminando i comandanti che incontreremo durante la main quest entreremo in possesso di “carte Enigma” da utilizzare sul sottomarino, nella omonima macchina, un semplicissimo minigame che consente di “sbloccare” i bersagli del Reich che si trovano sparsi nelle mappe di gioco, da riaffrontare tipo dungeon con tanto di boss finale, con l’obiettivo di raccogliere Carte della Morte e ripulire il tabellone su cui sono appese le foto dei gerarchi nazisti. Come piccola chicca, infine, segnalo Wolfstone 3D, bellissimo coin-op che riprende grafica e gameplay del primissimo Wolf3D, con tanto di livelli, savegame e difficoltà, ma rivisto in chiave nazista, con un soldato tedesco impegnato a infiltrarsi nella roccaforte americana e sconfiggere i soldati dello Zio Sam.
Tecnicamente Wolfenstein II: The New Colossus fa il suo lavoro senza infamia e senza lode
Wolfenstein II: The New Colossus è la dimostrazione concreta, fisica e tangibile che i giochi single player hanno ancora tanto, tantissimo da dire. MachineGames regala una storia indimenticabile e una narrazione di altissimo livello: sporca, volgare, disturbante, coraggiosa e potente. Il gameplay riprende la miscela di azione e stealth che tanto ci aveva convinti nel primo capitolo, mantenendo l’elevato grado di sfida e regalando ancora più possibilità ludiche al giocatore sotto forma di upgrade, perk, abilità passive e miglioramenti alle armi. Catartico e coinvolgente nei suoi eccessi, Wolfenstein II: The New Colossus merita un posto nella collezione di tutti gli amanti del genere.