Daemon X Machina: Titanic Scion promette robot fantascientifici e combattimenti spettacolari, ma dietro l’esoscheletro scintillante si nasconde un mondo vuoto e una storia che fatica a decollare.
Sviluppatore / Publisher: Marvelous Inc. / XSEED Games Prezzo: € 69,99 Localizzazione: Testi Multiplayer: Cooperativo online PEGI: 16 Disponibile su: PS5, Xbox Series X, Switch 2, Steam
“Tesoro, mi si sono ristretti i mecha”. È un po’ questo il primo pensiero che viene in mente dopo aver mosso i primi passi nel mondo di Daemon X Machina: Titanic Scion. Se il primo capitolo ci metteva alla guida di enormi robot da combattimento in missioni singole da selezionare comodamente in un hub, questo seguito ci infila in un esoscheletro volante chiamato Arsenal e ci sguinzaglia in un mondo aperto, dopo una fuga al fulmicotone in compagnia di uno dei tanti NPC di cui dimenticheremo presto tutto.
Vorrei dare la colpa alla scarsa empatia che suscita il protagonista, muto come un pesce (ma comunque personalizzabile grazie a un editor iniziale piuttosto robusto), ma la verità è che il cast è bidimensionale e inadatto a sostenere una narrazione coinvolgente. Un po’ come nel primo espisodio, solo che allora il gioco aveva conquistato la mia anima da troppo orfana di Armored Core, nonostante qualche incertezza.
DAEMON X MACHINA TITANIC SCION: DA ARMORED CORE A ANTHEM
La trama ruota attorno ai Reclaimers, un gruppo di ribelli in lotta contro gli Outers, esseri umani mutati con poteri speciali. Gli Outers fanno parte del regime militare noto come Sovereign Axiom, al cui interno opera una divisione d’élite composta da nove membri, la Neun, che rappresenta l’antagonista principale della storia. Il problema è che l’intero cast ha pochissimo tempo per svilupparsi, soffocato da decine di fetch quest che spezzettano la narrazione, finendo per far perdere rapidamente interesse in ciò che accade. Mettiamo subito le mani avanti: Daemon X Machina: Titanic Scion è un gioco cucito su misura per chi ama mettere a punto il proprio esoscheletro, scegliendo tra decine di elmi, braccia, busti e gambe, oltre a un arsenale di tutto rispetto. Le opzioni si dividono in tre categorie di peso: i modelli pesanti offrono corazze più robuste, mentre quelli leggeri privilegiano la manovrabilità. Tutti, però, hanno bisogno di Femto per librarsi in volo, la magica energia creata da n… no, quello era un altro robot.

Quel ragno corazzato è comparso nel primo capitolo. Se prima era un nemico formidabile, ora schiaccerà il nostro esoscheletro come un acino d’uva.
La gestione delle riserve dovrebbe rappresentare un elemento con cui fare i conti, ma in realtà non si tratta di un vero problema, visto che la superficie del pianeta è strapiena del prezioso materiale cristallizzato, rendendo del tutto superflue e poco sfruttate le meccaniche di trasporto alternative, come cavalli (immagino già la scoliosi sotto il peso degli esoscheletri), moto trasformabili e fuoristrada presi in prestito da Halo, tutti scomodissimi da guidare rispetto al ben più dinamico volo. Il combattimento sa essere divertente e sufficientemente creativo grazie al numero di sistemi trasportabili: quattro armi intercambiabili da imbracciare, affiancate da cannoni o lanciamissili da spalla, il tutto arricchito da strumenti secondari come granate o caricatori maggiorati. È intrigante mettere insieme l’Arsenal ideale bilanciando le armi con la necessità di rimanere nei limiti della memoria dell’esoscheletro, così da non comprometterne le performance complessive. Trovo molto riuscita anche l’idea che, nello stile degli MMORPG, depredare gli avversari abbattuti costringa a scegliere un singolo oggetto: innesca quel pericoloso desiderio di continuare a perdere tempo massacrando nemici per ottenere l’agognato drop.
Il mondo di Daemon X Machina: Titanic Scion risulta tanto vasto quanto vuoto.
Considerando che equipaggiamenti simili possono avere caratteristiche e modificatori diversi, e che il combattimento in tempo reale sa coinvolgere con combo e sinergie tra le armi (gli archi, ad esempio, non infliggono grandi danni ma garantiscono bottini migliori), c’è il rischio di investire parecchie ore se la cosa vi prende e iniziate ad affondare i denti nella fitta ragnatela di sottosistemi che concorrono alla creazione del setup definitivo. È divertente intercettare squadriglie di droni con sciami di missili a ricerca o indebolire i nemici fino a poterli afferrare e scagliarli contro i loro stessi alleati. Allo stesso modo, smantellare la corazza dei boss per rivelarne il punto debole e infliggere danni ingenti offre momenti di autentica soddisfazione.
UN MONDO OSTILE, MA VUOTO
È presente anche un laboratorio di bioingegneria che permette di innestare genomi alieni nel proprio alter ego per sbloccare diverse abilità: si va da mosse speciali, come armi da lanciare in stile boomerang, fino a raggi oculari che richiamano Ciclope degli X-Men. Il rovescio della medaglia è rappresentato dalle mutazioni collaterali che alterano l’aspetto dell’avatar, ma queste possono essere facilmente rimosse spendendo denaro, rendendo l’impatto dell’intero sistema pressoché nullo. Sarebbe stato interessante assistere a reazioni da parte degli altri personaggi di fronte a protuberanze e deformazioni visibili, ma il gioco non mostra alcun interesse in tal senso. Il problema sta però nel contorno: messa da parte la trama e l’immancabile gioco di carte collezionabili – peraltro piuttosto anonimo – il mondo di gioco risulta tanto vasto quanto vuoto. Se il pianeta Mira di Xenoblade Chronicles X restituiva la sensazione di esplorare un ecosistema credibile e popolato da una convincente biodiversità, qui ci si imbatte per lo più in gruppi di nemici privi di contesto, che sembrano esistere soltanto per attaccare il giocatore, assaltandolo come intermezzo tra vene di minerali da estrarre e qualche scorta abbandonata sul campo.

I combattimenti sono sempre piacevoli e dinamici, con tanto di prove di forza quando le lame si incrociano.
La situazione non migliora nelle caverne o nelle basi, progettate con asset riutilizzati in maniera eccessiva e prive di varietà. Su Switch 2 l’esperienza è appesantita da lunghi tempi di caricamento, soprattutto durante i viaggi rapidi, e da un framerate che si stabilizza sugli ormai anacronistici (almeno nel 2025 e su una console uscita da pochi mesi) 30 fps, con cali evidenti nelle situazioni più caotiche o mentre vengono caricate nuove sezioni della mappa.
Daemon X Machina: Titanic Scion è un gioco cucito su misura per chi ama mettere a punto il proprio esoscheletro.
Per fortuna il comparto multiplayer funziona discretamente, al netto di qualche sporadica incertezza: il crossplay garantisce una vasta base di giocatori con cui divertirsi, e la possibilità di configurare le stanze dichiarando l’obiettivo, che si tratti di esplorazione libera o della caccia a uno specifico boss, garantisce un buon ricambio di compagni d’avventura, almeno durante i primi tempi.
In Breve: Daemon X Machina: Titanic Scion convince soprattutto sul fronte del gameplay: il sistema di combattimento è vario e creativo, la personalizzazione dell’esoscheletro molto ricca e le boss fight, quando funzionano, regalano momenti spettacolari. Anche il multiplayer è solido, grazie al crossplay che amplia le possibilità di cooperazione. Il resto, però, non è allo stesso livello: la trama è debole, il cast dimenticabile, le missioni riempitive rallentano il ritmo e il mondo di gioco, pur vasto, appare vuoto e ripetitivo. Dulcis in fundo, sul piano tecnico la versione Switch 2 qui recensita mostra limiti evidenti tra caricamenti lenti e framerate instabile. Un titolo che diverte gli appassionati di mecha e ottimizzazione dell’equipaggiamento disposti a chiudere un occhio sugli oggettivi problemi, ma che difficilmente soddisferà chi cerca una storia coinvolgente o un mondo da esplorare con piacere.
Piattaforma di Prova: Switch 2
Com’è, Come Gira: Su Switch 2 Daemon X Machina: Titanic Scion mostra il suo lato più debole: lunghi tempi di caricamento e episodi di micro-stuttering pesano sui 30 fps, che raramente (e dai, la console è appena uscita, impegnatevi un attimo!) riescono a mantenere una consistenza stabile.