Gaming Corps AB ha pubblicato la serie di miniavventure “The Descendant” nel corso del 2016, suddividendo le 6 ore di gioco complessive in cinque episodi dalla durata sempre inferiore (dalle quasi 2 ore dei primi due, alla mezzora abbondante dell’ultimo), ma affidando la direzione dell’epilogo a Frank Coraci (scrittore e regista), noto al cinema per “Il giro del mondo in 80 giorni” (2004), “Cambia la tua vita con un click” (2006) e diversi altri film, soprattutto con Adam Sandler. L’aver atteso fino a oggi ci permette di valutare l’opera nel suo complesso, senza inutili distinzioni e voti parziali.
UN GIORNO, IL MONDO RICOMINCERÀ
Il tema affrontato da The Descendant è un classico della fantascienza: come potrebbe sopravvivere la razza umana a una guerra nucleare? La risposta, in questo caso, risiede nella costruzione di una quarantina di “arche”, bunker sotterranei dotati di vasche criogeniche in cui una minuscola quantità di invididui (solo 4000 su sette miliardi e rotti) avrà l’onore e l’onere di ripopolare il pianeta una volta passato il lungo inverno atomico.
E così, infatti, sarà: a diversi secoli di distanza dalla terza guerra mondiale, tutte le arche si “schiuderanno”, riportando alla vita i loro ospiti. Tutte eccetto una, l’Arca-01, installata in Alaska. Cosa ne sarà mai stato dei suoi 108 “discendenti”, ibernati durante il conflitto? E perché la struttura sembra tagliata fuori da ogni comunicazione? Per scoprirlo, si recheranno sul luogo l’ex senatore degli Stati Uniti Randolph Jefferson e il tecnico Donnie Freeman, e naturalmente durante le indagini resteranno invischiati in una cospirazione davvero molto ingegnosa.
The Descendant affronta un tema classico della fantascienza: come potrebbe sopravvivere la razza umana a una guerra nucleare?
La trama di The Descendant si sviluppa su due diverse linee temporali: l’indagine di Donnie e Randolph in un futuro che, in realtà, costituisce il presente narrativo, e un passato risalente ad alcuni secoli prima, quando gli unici due custodi della struttura – l’inquietante Silas Guntur e l’impacciata Mia Howard – sono costretti ad affrontare alcuni guai di natura tecnica. I custodi sono il personale delle arche: ibernati come tutti gli altri ospiti, vengono svegliati dal computer ogni volta che si rende necessario un intervento di qualsiasi natura, meccanica, medica o di semplice manutenzione. Tuttavia, è chiaro che i due stiano affrontando una situazione disumana, ben al di sopra delle loro possibilità, e questo metterà duramente alla prova i loro nervi. Quando Donnie e Randolph riescono a penetrare nella struttura, si rendono immediatamente conto che qualcosa nell’Arca-01 è andata orribilmente storta: gli stessi ambienti che nel passato di Mia e Silas erano ordinati, puliti e in perfetto stato di conservazione, appaiono vandalizzati, sporchi, sconvolti da qualche genere di furia distruttiva. Come se non bastasse, il software di controllo installato nell’arca, detto “L’Equazione”, li vede come intrusi da eliminare e, senza troppi complimenti, cerca di mettere in atto tutte le strategie difensive che la sua intelligenza artificiale gli permette.
AVVENTURA SÌ, MA IN TREDDÌ
Il comparto grafico del gioco è di tutto rilievo. Invece di scegliere la collaudata, ma ormai anche “assodata” impostazione 2.5D, coi suoi fondali fissi disegnati e i personaggi in 3D, Gaming Corps AB ha fatto una scelta molto più coraggiosa, integrando questa soluzione in un contesto più ampio dove tutto è tridimensionale, gestito cioè da un motore simile a quello di uno sparatutto.
Il più grande merito del gioco è quello di saper inserire elementi da diversi generi
I personaggi sono disegnati con la tecnica del cel-shading, tuttavia le loro animazioni non sono eccellenti, rivelandosi genericamente discrete e molto funzionali, ma è piuttosto difficile perdonarne le lacune dopo che abbiamo visto Silence in azione. Se non altro, le espressioni facciali sono sempre convincenti e il voice-over in Inglese, rifatto in corso d’opera, è di buona qualità. Il più grande merito del gioco, tuttavia, è quello di saper inserire elementi di diverso genere (action, stealth, puzzle… addirittura racing), e di riuscire ad amalgamarli nell’avventura in modo naturale e convincente. Ben pochi possono dire di essere riusciti a fare altrettanto!
FACILE, MA DIVERTENTE
Dal punto di vista emotivo, The Descendant è davvero eccellente: capiterà molto spesso di provare preoccupazione, senso di smarrimento e suspense. La storia è molto ragionata e, nonostante venga naturale farsi qualche domanda ogni tanto, fila piuttosto bene, senza lasciare troppi buchi scoperti al suo passaggio. I personaggi inizialmente non dicono granché, perché nei primi episodi sono costretti a svolgere delle operazioni “meccaniche” senza indulgere troppo nella loro vita privata, ma una volta effettuato il “giro di boa” il gioco si concentra soprattutto su di loro, mettendone a nudo criticità, paure, segreti e incongruenze. Il livello degli enigmi è mediamente facile e non troverete mai nulla di bloccante. L’interazione con gli oggetti è piuttosto elementare e ciò che ci serve è sempre nelle vicinanze, al punto che non esiste nemmeno un inventario: si raccoglie, si usa, e via al prossimo enigma (caratteristica, questa, che sta prendendo sempre più piede nel genere). I dialoghi, così come certe azioni, vanno effettuati entro un breve lasso di tempo. The Descendant, in altre parole, oltre all’intelletto cerca di mettere alla prova anche i nostri riflessi, e molto spesso ci capiterà di voler riaffrontare il gioco comportandosi in un’altra maniera per vedere se, con una decisione differente, sarebbe cambiato qualcosa. E le scelte, a volte, sono davvero ardue da compiere.
QUALCHE GLITCH DI TROPPO
Sebbene nel corso dei mesi siano uscite diverse fix, ormai inglobate nel gioco, restano ancora da correggere alcuni errori di una certa rilevanza. Nel primo episodio, per esempio, ci è capitato di restare intrappolati con Mia in una stanza che – teoricamente – le doveva essere preclusa, compromettendo parte della soluzione.
nei mesi sono uscite diverse fix, ormai inglobate nel gioco
The Descendant è doppiato in Inglese, ma sottotitoli e menu sono stati tradotti in modo eccellente. Questo, dal mio punto di vista, rappresenta sempre un buon biglietto da visita, a cui si aggiunge un gameplay che cerca in ogni modo di “evadere” dalle strutture classiche degli adventure, riuscendoci spesso molto bene. Spendere 15 euro per giocare quest’avventura nel suo complesso è una saggia decisione, e se anche voi come me non “pesate” un gioco per la sua lunghezza (sei-dieci ore senza ricorrere agli aiuti sul web), ma in base alle emozioni che trasmette, The Descendant – quasi sicuramente – vi piacerà. Certo, occorre scendere a patti con le sue pretese hardware, ma alla fine è proprio un gran bel titolo: claustrofobico, cinico, inquietante, ma spesso sorprendente.