Kvark – Recensione

PC

Repubblica Ceca, una centrale nucleare, la morte dietro ogni angolo e quel classico disastro che nessuno riesce a evitare. Potrebbe essere la trama di un qualsiasi film catastrofista; invece, è il racconto truculento e brutale di Kvark, sviluppato dal team Latest Past.

Sviluppatore / Publisher: Latest Past / Perun Creative Prezzo: ND Localizzazione: Assente Multiplayer: Assente PEGI: 18 Disponibile su: PC (Steam) Data d’uscita: Già disponibile (da oggi)

Gioco da sempre a moltissimi FPS. Alcuni li conosco da anni, altri li ho conosciuti, come Quake e DOOM grazie a mio papà, e altrettanti semplicemente facendo una ricerca rapida su Steam. Bella storia, nevvero? Da strappalacrime, come direbbe qualcuno di studiato. Ecco, Kvark è uno degli FPS più difficili cui abbia mai giocato. E non lo dico tanto per scherzare: nemici che sanno colpire, lo sanno fare bene, e sono dosati nelle varie zone in modo intelligente. È come avere davanti un soulslike in prima persona che è necessario imparare per saper sopravvivere: una roba da matti, sostanzialmente.

Ora, immaginate di trovarvi davanti un videogioco che, ispirandosi per l’appunto a opere estremamente classiche come Black Mesa, dimostra tutta la sua personalità attraverso questa scelta di design. È una difficoltà pensata ottimamente, inserita per tutt’e tre i livelli in maniera ottima, arricchita da situazioni particolarmente appassionanti. Kvark è uno sparatutto in prima persona di una crudeltà assoluta, di una brutalità che ho visto solo in videogiochi del calibro di Bulletstorm e di un cinismo tale da essere assuefacente e totale. Dovrei essere abituato a vedere il sangue grondare da ogni parte, a seguito delle operazioni ludiche di altrettante produzioni disponibili sul mercato.

Kvark è violento. Bello, mi piace

Attraverso queste decisioni, tuttavia, si ha davanti un’opera trascendentale, una di quelle che potrebbe fare bene, nel mercato videoludico, proprio per fare capire come certe produzioni al tempo erano bene da imparare per capire quanto il loro design potesse spingere sull’acceleratore. Kvark persegue questo obiettivo, contestualizzato in modo brillante per tutta la sua prosecuzione, forte, per l’appunto, della creatività espressa chiaramente. Sorprenderà molti, ecco, che non vi sia una storia al suo interno, se non un lieve accenno di quanto accade. Tutto è affidato al contesto, che si esprime in modo chiaro e genuino per gran parte dell’opera, con quello sguardo sognante al passato, seppure ammodernato nel suo insieme, dolce ma letale, assiduo ma vivace. Accomodante, caldo, caloroso. Ma quanti aggettivi, accidenti… cos’è, una poesia? Quella della morte: Il Cantico della Morte, mica delle Creature. Prendi questo, Francesco D’Assisi.

ATOM BOMB BABY

In Kvark non si respira più. Le radiazioni hanno annientato quel poco che è rimasto della Repubblica Ceca, il luogo in cui è ambientata questa storia fatta di sangue, morte e gente trasformata. Della trama è raccontato poco e nulla, se non quello che appare sin chiaro dall’inizio: il mondo è detonato, di nuovo, a causa dell’uomo. Non pare ci sia alcun incidente di sorta, perciò non si può impuntare alcunché all’errore, quanto più all’odio dell’uomo, che non sembra pacarsi neppure mentre sto scrivendo questa recensione.

Solo, disperso, c’è la gente morta…

Comunque, Kvark presenta una contestualizzazione interessante. Le tematiche trattate, raccontate in modo peculiari e particolareggiati, definiscono delle critiche aspre all’utilizzo delle armi atomiche. Tuttavia, stando ai documenti raccolti nel corso dell’esperienza, mi sono reso conto che molti di essi riconoscevano che l’energia nucleare può essere una soluzione differente. È un messaggio chiaro e nitido, approfondito a dovere e con la conoscenza necessaria, per opere di questo tenore, ancorate unicamente alla scoperta.

In Kvark non si respira più. Le radiazioni hanno annientato quel poco che è rimasto della Repubblica Ceca

Avrei voluto, ma questa è una cosa un po’ mia, qualche altro riferimento ai tanti incidenti scoppiati nel corso della storia europea, oltre che mondiale. Ammetto che vedere dei nemici mutati a causa delle radiazioni, similari a dei clicker ancora più spietati, mi ha fatto crescere un certo senso d’angoscia, la stessa che provai qualche anno fatto quando giocai per la prima volta Black Mesa. Restando sui binari di Half Life, opera di cui spero di vedere un terzo capitolo quanto prima, anche se è più probabile vedere un Kvark 2, al momento, qualora le cose andassero bene. Come dimostrato peraltro dall’Accesso Anticipato, intanto il primo capitolo ha raggiunto traguardi positivi, elemento che mi sento di replicare anche qui, con forza, quando mi sono trovato davanti una nutrita schiera di nemici per tutt’e tre i livelli.

IN KVARK SI MUORE, SI UCCIDE, SI VIVE

Come accennavo, Kvark è uno sparatutto in prima persona che segue le orme di opere del calibro di Half Life. Pensato dal team di sviluppo come una sorta di omaggio alle opere di Valve, riesce a ritagliarsi una sua anima, scandendo uno stile retrò assolutamente ben implementato. A catturare è la sua brutalità, espressa attraverso una chiave inglese, l’arma iniziale utile per proseguire finché non s’incontra la prima reale arma d’offesa nel corso dell’avventura, in questo caso una pistola che, per quanto utile, fa meno danni rispetto a un fucile a pompa o una doppietta.

Le rotaie. Rotaie che ricordano Metro. No, non in senso buono.

Queste sono alcune delle bocche di fuoco che la produzione rende disponibile, mentre si cerca di sopravvivere. In primo luogo, sopravvivere significa dover pensare accuratamente a cosa si ha davanti. Uccidere non diventa un automatismo come potrebbe accadere come in DOOM, in cui si sparano proiettili a non finire, come nei bullett heaven che tanto piacciono ai giocatori. Come in Half Life e in opere di questo tenore, serve un ragionamento, molto ragionamento. Intanto, le varie aree propongono munizioni da raccogliere e i classici pezzi di corazza utili per aumentare le difese. È un sistema di gioco classico che si è già visto in passato in molteplici occasioni; dunque, non è nulla di nuovo nello scenario videoludico. Fa certamente sorridere vedere degli stivali da scienziato nucleare da indossare per ripararsi dalle radiazioni, facendo capire che all’opera non manca affatto la personalità.

In primo luogo, sopravvivere significa dover pensare accuratamente a cosa si ha davanti

La stessa non è assente neppure quando si tratta di sparare e di procurare dolore ai nemici, ed è qui che viene il bello. Il gunplay, per quanto scolastico e semplice, riesce a essere comunque ben inserito nelle dinamiche di gioco. È bene sapere, tuttavia, che le munizioni – anche a una difficoltà minore – sono contate. Sperare di ricavarne più di quante si abbiano, ecco, è praticamente impossibile: nel design c’è solo la volontà di mettere alle strette il giocatore. Lo si comprende sin dal primo momento, e non è mai saggio, dunque, gettarsi a capofitto nel bel mezzo dell’azione, non sapendo cosa può succedere da un momento all’altro.

Situazioni à la Half Life come piacciono a me. Qua gli avevo mozzato la testa, al bro. 

I nemici, posizionati in modo intelligente per tutta l’esperienza, sanno mettere in difficoltà e propagare dolore, con danni ingenti sui punti vita. Il personaggio, un tizio silenzioso e nerboruto, non spiaccica parola, ma sa picchiare come il Doom Guy, facendo capire che no, non si scherza con chi sa trucidare ascoltando Bach o Beethoven. Il gameplay di gioco, dunque, coinvolge proprio grazie al ritmo che passa da lento a rapido in un battito di ciglio.

I nemici, posizionati in modo intelligente per tutta l’esperienza, sanno mettere in difficoltà e propagare dolore

Oltre alla tensione, uccidere diventa un piacere. Scorrere le armi, sia con pad che con tastiera, è immediato. Man mano che si avanza nell’esperienza, l’inventario a disposizione aumenterà, proponendo varie armi per avere la meglio contro i nemici – mutati o meno – proposti all’interno dell’esperienza. La preparazione, durante l’esplorazione delle aree dell’opera, conta molto. Quest’ultima assume un ruolo rilevante, non marginale, seppure il lavoro svolto nel level design non sia così totalizzante e fresco. È un videogioco pensato più all’azione che a portare a riflettere dove si sta andando, cosa prediligo sempre anche negli sparatutto in prima persona – altrimenti, non amerei perdutamente SIGIL.

LO STILE CHE SERVE AL GENERE

Avete mai giocato a Prodeus, videogioco di cui non mi stancherei mai di parlare abbastanza se non fosse che rischierei di diventare logorroico? Kvark riprende quel tipo di contestualizzazione, facendo una cosa grande, ottima: propone una grafica sprite e minimalista che riesce a riempire lo schermo, presentando scenari realmente belli da vedere – soprattutto quelli all’aperto.

Pure al chiuso si sta male.

Prima ho parlato, inoltre, di quanto sia brutale: oltre a restarci sotto grazie alle braccia che saltano dappertutto come in un film di Tarantino, il sangue gronda a fiumi, facendo capire che no, non si scherza affatto. Questa sensazione si evince soprattutto grazie alle atmosfere, rappresentate in modo ottimo, e per merito di un sonoro buono ma non indimenticabile, un pochino sottotono, rispetto al gameplay, che invece è davvero succulento.

Prima ho parlato, inoltre, di quanto sia brutale: oltre a restarci sotto grazie alle braccia che saltano dappertutto come in un film di Tarantino

C’è da dire che l’assenza di una colonna sonora che sappia dare il giusto ritmo si sia un po’ sentita per gran parte dell’esperienza, e che mi sarebbe piaciuto un sacco coinvolgermi ancora di più. Nulla di grave, comunque.

In Breve: Pieno zeppo di elementi interessanti, nonché di un bel gameplay, Kvark sa coinvolgere e portare il giocatore in un Half Life rivisitato in chiave apocalissi nucleare. Si uccide che è una meraviglia, si passa il tempo a danzare sul cadavere dei nemici e c’è una dose mica male di violenza gratuita. È cosa potrebbe portare qualcuno ad acquistarlo, infatti, per farlo proprio. E mi sento di consigliarlo a coloro che hanno bisogno di vedere un po’ di sangue sparso per terra. Io ne avevo bisogno e, ovviamente, ne sono uscito capobranco.

Piattaforma di Gioco: PC
Configurazione di Prova: i5-12400F, 16 GB RAM, GeForce RTX 3080, SSD
Com’è, come gira: Sulla mia configurazione gira ottimamente. Ecco, è bene scandirlo: il team ha usato sapientemente l’Unreal Engine 5, motore di gioco che ha saputo davvero mostrare un bel fotorealismo, in questa grafica così semplice e minimalista.

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Pro

  • Un gunplay brutale e davvero, davvero appagante / Meglio esplorare ogni angolo delle aree, così da avere più munizioni possibile / Contesto ottimo e pregiato / Si spara in modo brutale; nel senso che gli arti e le teste volano da una parte all'altra!

Contro

  • Il sonoro è un po' deboluccio / Poteva essere svolto un lavoro più attento sulla scelta delle musiche, così da creare la giusta atmosfera
8.4

Più che buono

Cosa succede se unite letteratura, tanta curiosità e un mix letale di videogiochi indipendenti e di produzioni complesse? Otterrete Nicholas, un giovane virgulto che scrive tanto e vuole scrivere di più. Chiamato "Puji" ben prima di nascere, dovete dargli una penna per tenerlo calmo. O al massimo un pad.

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