In una generazione di console caratterizzata da remake e remastered, non è detto che la moda di riscrivere il passato non porti buoni frutti. VanillaWare, del resto, non è una casa qualsiasi vantando anima e intenzioni ben piantate nella tradizione bidimensionale sin dai tempi dell’oscuro Princess Crown per Saturn. Quest’ultimo è affresco in movimento a base di sprite, in un’epoca affamata di poligoni, realizzato alla corte di Atlus e ideale punto di partenza per la squadra fondata dal talentuoso George Kamitani.
Odin Sphere è stato uno dei primi titoli dello studio, un picchiaduro a scorrimento con forti componenti ruolistiche erede spirituale del già citato Princess Crown, accolto come ambrosia digitale dai fan dei videogiochi di una volta. Bellissimo da vedere, ma alla lunga privo di grinta, imbastiva un sistema di combattimento arcade azzoppato da una gamma di tecniche tutto sommato limitata che faceva sentire il suo peso una volta esaurito l’entusiasmo iniziale. Il guaio più grande del titolo in oggetto era però la lentezza, in tutti i sensi: da una parte c’era lo sviluppo dei personaggi, costretti a rincorrere una manciata di punti esperienza attraverso il grind selvaggio e soporiferi pranzi nel villaggio Pooka (Puka, nella versione italiana, una sorta di conigli antropomorfi), dall’altra un level design che a volte arrivava a toccare momenti di vero sadismo, vedasi gli ultimi stage di Cornelius dove semplicemente non si andava avanti senza una scorta vitalizia di napalm. In aggiunta, l’hardware, con la PS2 suo malgrado ridotta a collo di bottiglia, era incapace di concretizzare una visione eccessivamente sontuosa: i rallentamenti erano all’ordine del giorno con episodi critici durante gli scontri con i boss. Esempio immortale è la regina dell’oltretomba Odette, assieme al suo esercito di spiriti, un momento emblematico in cui la PS2 ti contatta telepaticamente chiedendoti di ucciderla per terminarne la sofferenza.
Con tutti questi nei a che pro riproporre il gioco? Lo saltiamo a piè pari questo Odin Sphere: Leifthrasir? No, assolutamente, tutto quello che è stato scritto nelle righe precedenti fa parte del passato, perché il “nuovo” Odin Sphere è fantastico!
“WHAT KIND OF KING WISHES FOR THE DESTRUCTION OF HIS OWN COUNTRY?”
Odin Sphere: Leifthrasir inizia in media res, con un tutorial che vede la valchiria Gwendolyn in guerra contro l’esercito della Regina delle Fate; in palio c’è un misterioso artefatto che il padre Odino brama più di ogni altra cosa. L’atmosfera può apparire familiare a chi ha amato il titolo originale nell’ormai lontano 2007, ma a conti fatti non è mai stata così bella e vibrante, incorniciata da una grafica in alta risoluzione che si muove a sessanta solidissimi fotogrammi al secondo.
Leifthrasir va giocato sullo schermo più grande che avete
L’azione è sensibilmente più fluida, probabilmente grazie all’esperienza maturata con l’ottimo Muramasa: the Demon Blade. Il merito è senza dubbio della barra dell’energia rivista e corretta, una volta limite al numero di attacchi concatenabili è ora adibita all’attivazione di mosse speciali, assieme a diverse accortezze nei fotogrammi di animazione pensati per continuare ad attaccare e far impazzire l’indicatore delle combo (in un momento di particolare esaltazione sono riuscito a inanellare oltre trecento colpi, un risultato impensabile col vecchio, legnoso sistema). A questo vanno aggiunti numerosi attacchi magici, sbloccabili conquistando gli appositi prismi fozonici sparsi per i vari livelli, una motivazione più che sufficiente per passare al setaccio le mappe. Gli attacchi magici aggiungono una massiccia dose di spettacolarità agli scontri e sono diversi a seconda dei cinque protagonisti, scongiurando le passate similitudini tra i vari moveset e tratteggiando caratteristiche personali come l’affinità al gelo di Gwendolyn o la potenza bruta di Oswald. Mosse speciali e magie possono essere potenziate investendo fozoni (un’energia mistica principalmente scaturita dai nemici sconfitti) e abbinate a scorciatoie, in modo da integrarle perfettamente in un sistema di combattimento praticamente rinnovato da cima a fondo, molto più veloce, spettacolare e soprattutto divertente.
A tutta questa abbondanza ci sarebbe da sommare un gran numero di skill passive nuove di zecca, come lo sconto presso i mercanti o l’incremento di danni in seguito a una counter, tuttavia credo di aver reso l’idea. Il gioco permette anche di vivere l’avventura in modalità originale, ovvero senza tutte le migliorie introdotte da Leifthrasir salvo risoluzione e velocità. Una strizzatina d’occhi ai nostalgici e, allo stesso tempo, un modo per ricordare quanto limitata fosse la versione originale di fronte a tutto questo ben di Odino.
“WHO ARE YOU? SPEAK, OR I’LL CRUSH YOU HEAD UNTIL YOUR NAME FALLS OUT.”
Tutto meglio insomma, compreso quello che avviene al di fuori della lotta. L’interfaccia ridisegnata è più semplice da usare rispetto al passato, mentre l’organizzazione delle mappe le rende di facile navigazione grazie anche alle scorciatoie che eliminano buon parte del backtracking. I fozoni possono ora essere conservati e usati per miglioramenti vari o per far fiorire piante da frutto, liberando le scintille purpuree alla volta dei semi. Odin Sphere: Leifthrasir vanta infatti un singolare sistema di potenziamento basato sulla crescita degli arbusti più disparati, da curare nei ritagli di tempo per raccogliere i reagenti – un particolare albero fa germogliare addirittura pecore! – che costituiscono il cuore di ricette e alchimia.
La quasi completa assenza di tempi morti velocizza notevolmente l’esperienza
Si potrebbe obiettare che tutte queste migliorie rendono il gioco più facile rispetto al passato, e in fondo è vero. Sono tuttavia presenti tre livelli di difficoltà, alternabili a piacere nel corso dell’avventura, nuovi boss e il new game plus per i giocatori più esigenti, mentre i masochisti potranno mirare alla modalità inferno, popolata da nemici inalberatissimi da affrontare con i punti vita tristemente ancorati alle duecento unità, dove basta uno starnuto per tirare le cuoia.
La vera pecca riguarda la ripetitività, e per questa non c’è opera di restauro che tenga. Complessivamente, Odin Sphere: Leifthrasir è la storia di cinque personaggi i cui sentieri si intrecciano all’ombra di una vicenda più grande di loro, con una posta in ballo altissima. Viste le premesse, c’è poco da fare per aggirare la formula originale che vede i cinque eroi affrontare buona parte delle stesse ambientazioni combattendo contro gli stessi avversari, seppure seguendo un ordine differente e con le dovute eccezioni.
La quasi completa assenza di tempi morti da immolare sull’altare dei grind e del soporifero ristorante pooka (dimenticavo, ora è possibile accelerare o addirittura saltare tutte le animazioni che ruotano attorno al pasto, evviva!) velocizza notevolmente l’esperienza, senza contare che finalmente gli eroi sono sufficientemente diversificati il che rappresenta un valido motivo di interesse. Se siete tra coloro che nel 2007 abbandonarono il gioco, causa della noia, probabilmente riuscirete a vederne i titoli di coda, un compito che comunque richiederà non meno di quaranta ore.
Fossero tutte così le edizioni remastered non avremmo nulla da obiettare. Odin Spere: Leifthrasir, oltre ad avere un nome impronunciabile, migliora il gioco originale in ogni suo aspetto, arrivando a stravolgere completamente il sistema di combattimento e alleggerendo diverse meccaniche. Il risultato è mozzafiato, bello da giocare e da vedere nella sua veste completamente rinnovata, adatta tanto ai novellini quanto a chi ha amato Odin Sphere (tanto da rendere finalmente giustizia a un’opera probabilmente troppo ambiziosa per i limiti di PS2). I detrattori diano senza remore una possibilità a questa nuova incarnazione, perché VanillaWare ha mosso l’ennesimo passo sulla strada della perfezione; non so voi, ma io muoio dalla voglia di scoprire qualcosa in più riguardo il prossimo 13 Sentinels: Aegis Rim.