L’addio all’arcade, la morte del progetto Stormdivers, le sue ceneri che diventano concime per dare vita a Returnal. La rivalsa di Housemarque che qualcuno aveva dato per spacciata, capace oggi di regalarci un’opera straordinaria e fondamentale per PlayStation 5.
Sviluppatore / Publisher: Housemarque / Sony Interactive Entertainment Prezzo: 79,99€ Localizzazione: Completa Multiplayer: Assente PEGI: 16 Disponibile Su: PS5
Alle porte della cittadella distrutta si scorge il cuore sventrato del pianeta Atropo, i fili della Storia recisi all’apice della sua evoluzione socio-culturale, la caduta in una spirale di bramosia, follia, guerra. Sotto un cielo di ruggine, malato, Selene guarda ai suoi piedi. Ha già visto decine di suoi cadaveri, la tuta sporca, lacerata, involucri di decomposizione, un tanfo da cui riemergono ricordi. Registrazioni lasciate in punto di morte, alcune lucide, con indicazioni per chi verrà dopo, rassegnate, altre deliranti, terrorizzate, un filo di voce prima che la meravigliosa eterocromia dei suoi occhi si spegnesse per riaccendersi sotto la pioggia battente, ancora, un pianto disperato sul punto d’impatto tra la navetta Helios e il terreno di quel pianeta che non vuole lasciarla andare, liberarla alla morte, punto fisso nello spazio-tempo.
Dallo stesso scorcio in cui la sé stessa di un loop passato respirava le ultime boccate d’ossigeno, dove l’orizzonte si fonde ai bordi degli occhi e le architetture della capitale si sgretolano per lasciar intravedere fondamenta vive, pulsanti, meccaniche, la sente parlare di destino e miti greci; “Atlante reggeva, Prometeo soffriva, Selene scavava”. La voce è calma e contrasta con l’angoscia, l’adrenalina ancora in circolo di uno scontro a fuoco terrificante, l’ennesimo verso un obiettivo celato, ignoto, fondamentale. È l’ascesa verso l’Olimpo, la caccia agli dèi, una tensione al divino che da sempre è il senso ultimo dell’esplorazione spaziale, nascosta da conquiste tecnologiche, proclami, scienza. Una missione di routine diventata una ciclica odissea.
DON’T FEAR THE REAPER
Quante cose ha da raccontare Returnal, fin dalla sua stessa struttura ludica. La ciclicità del gameplay che diventa condizione esistenziale, un nuovo modo di interpretare il tempo, lo spazio, la vita, ricordando per certi versi i concetti su cui è scritta la sceneggiatura di Arrival (Denis Villeneuve, 2016). Selene Vassos, consapevole della sua eterna resurrezione, combatte per raggiungere il segnale della Pallida Ombra, un SOS, un richiamo, il suo scopo. Un mondo che muta, si riassembla contaminando i ricordi dei tentativi precedenti, le stesse aree in luoghi diversi, privati del senso dell’orientamento in un labirinto di rovine. Statue, geometrie, resti di civiltà che riportano alla mente i Chozo di Metroid Prime e il loro destino infausto. Fari spenti nella notte dell’universo, la nostalgia di un’era mai vissuta che affonda i suoi denti nella carne, dolorosa. Le steli erette a memoria di ciò che ha portato alla loro distruzione, la sofferenza che riecheggia nelle sale vuote un tempo ricche, vitali, in fermento e che ora sono fosse comuni per cataste di cadaveri, vittime di genocidio o sacrifici rituali.
L’esplorazione diventa momento di oppressione e riflessione, ma anche strumento ludico per misurare il progresso, laddove la componente metroidvania del game design è importante quanto quella roguelite e la morfologia degli ambienti suggerisce fin da subito che ci saranno da recuperare strumenti specifici per raggiungere determinate zone (che una volta trovati sopravviveranno a ogni game over, ovviamente). Si ha la sensazione che ci sia sempre qualcosa di celato da svelare, nuovi modi di interpretare e dominare il level design, aprendo portali, svelando scorciatoie fino a sfociare nel platform, sfruttando la verticalità laddove prima sembrava impossibile grazie a un pur classico rampino, imparando a leggere le mappe e di conseguenza osare, scommettere sulla propria abilità.
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