Tamarak Trail – Recensione

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L’immaginario collettivo dedicato al fantasy, grazie a opere come Stardust e i libri di Markus Heitz, è una cornucopia inanellata di sapere: tutto questo è su misura in Tamarak Trail, un po’ Darkest Dungeon al suo meglio, con bestialità e creature dell’incubo provenienti dalle fiabe nordiche.

Sviluppatore/Publisher: Yarrow Games / tinyBuild Prezzo: 24,99 euro Localizzazione: Assente Multiplayer: Assente PEGI: 18 Disponibile su: PlayStation 5, PlayStation 4, Xbox One, Xbox Series X|S, Nintendo Switch e PC Data d’uscita: 29 febbraio 2024

Se vedo un roguelike, lo ammetto, è come incontrare un amico. E se questo s’ispira a opere come Darkest Dungeon, specie alla struttura ludica del secondo capitolo del franchise, l’incontro diventa speciale. Una difficoltà punitiva ma non esagerata? C’è, e qui mi inviti a nozze. Nemici di varia natura? Boss che possono farti perdere tutto in men che non si dica? Non mancano. È esattamente cosa stavo cercando, da un videogioco che propone un sistema a turni intuitivo e, nel frattempo, dà libera scelta al giocatore come interfacciarsi con le missioni al suo interno. Esatto, già: come Inkulinati, allo stesso modo, con l’esplorazione che diventa fondamentale e l’esito di ogni sfida imprevedibile, poiché cambia in base alle necessità. Ne avevamo bisogno, quando nel mercato esistono prodotti diversi dello stesso genere? La domanda è un’altra: perché no?

Con Tamarak Trail, opera del collettivo di Yarrow Games alla sua prima esperienza, c’è esattamente cosa un appassionato di Darkest Dungeon ricercherebbe da un’alternativa a quest’ultimo. A livello di game design, nonostante alcune similarità, il titolo di debutto di questo team indipendente è ricercato, tanto ricercato. Ma ci arrivo a breve, giusto il tempo per tessere ulteriori lodi su aspetto a me caro. Poi, diciamolo: ho sempre voluto fare parte della compagine dei Sturgeon Lodge.

QUESTO FANTASY BELLO, CLASSICO E POTENTE

Anche se ormai di fiabe, favole e storie toccanti n’è pieno il mondo, Tamarak Trail affonda più che altro la sua narrativa in un viaggio che si dipana piano piano, scoperta dopo scoperta, in un mondo che di colorato, candido e pulito non ha nulla. La crudeltà ha preso il posto della bellezza, non c’è più pace nel bosco di Gioia e, soprattutto, ormai tutto è andato in malore. È proprio qui che Tamarak Trail dà il meglio di sé, proponendo un contesto interessante e coinvolgente, capace di tenere incollato allo schermo e non lasciare andare più, trasmettendo sensazioni piacevoli.

Spiritelli dispettosi? Check.

Ricco di dettagli e personaggi di vario genere, si comprende che il mondo, a causa di una brutale calamità, è ottenebrato e l’oscurità è ormai propagata ovunque, pure là dove un tempo la luce era onnipresente. È rimasto nulla, solo creature spietate e infime, pronte a tutto pur di mettere i bastoni fra le ruote ai tre avventurieri scelti per l’occasione, ognuno di essi con storie e trame che s’inerpicano fino a farle diventare dei rampicanti dolorosi, in grado di entrare nelle carni e sì, pure di sorprendere, quando non fanno male ed escoriano altri strati di pelle.

Meglio non scherzare con il male.

Nessuno di loro ha un nome, ma tutt’e tre sanno uccidere e hanno un lavoro: sto parlando del Detective, del Mago e del Segugio. Sono mestieri utili, nel mondo brutale proposto da Tamarak Trail, e ognuno di essi ha abilità speciali dedicate. Se da una parte dunque c’è un contesto interessante, dall’altra il titolo preferisce andare sul sicuro, proponendo un racconto già visto in altre produzioni, mantenendo un tono oscuro riuscitissimo e piacevole.

COMBATTERE IN TAMARAK TRAIL

Come accennavo prima, Tamarak Trail è un roguelike classicissimo con una struttura di gioco in cui i dadi la fanno da padrona. In un momento storico in cui Balatro e Dicefolk danno grandi soddisfazioni, Tamarak Trail è quello in cui è meglio implementata la struttura, con enormi possibilità di approccio lungo il percorso che coinvolgono, inoltre, i tre protagonista. Nell’avventura, però, s’inizia soltanto con la Detective, per poi sbloccare successivamente gli altri due, superando le numerose sfide che l’opera propone nel corso della sua scoperta. Le battaglie, in tal senso, avvengono in modo casuale: non si sa chi si sta affrontando e, soprattutto, quella creatura dell’incubo spunta fuori a ogni combattimento.

Bisogna colpire forte. Bisogna colpire duro.

In tal senso, la difficoltà s’impenna soprattutto quando si superano i vari biomi proposti all’interno dell’avventura. Il sistema dinamico a turni, infatti, consente di tirare i dadi e poi, se la mano è buona, vedere cosa compare: niente è mai assicurato ed è tutto casuale, il che rende il combattimento ancora più entusiasmante, spingendo a riflettere al meglio sulle mosse e le possibilità attuabili nel corso della sua scoperta. È un videogioco che, oltre a entusiasmare e a proporre un bel game design, non si accontenta solamente di coinvolgere il giocatore con un modello ludico similare a quello già visto con Darkest Dungeon II, ma di amplificarlo ulteriormente con altre meccaniche interessanti, unite peraltro con momenti complicati e intricatissimi, particolareggiati se affrontati senza prendere in considerazione alcunché. Ed è proprio qui, infatti, che si fonda l’intero sistema ludico: tutto è casuale, nulla è prevedibile e ogni atto compiuto ha sempre qualcosa che potrebbe sembrare la mossa migliore.

Come danneggiare i nemici? Check.

La progressione, oltre ad aumentare vertiginosamente la complessità dell’opera, dà inoltre modo di godere una sfida appassionante, capace di mostrare un lato roguelike assolutamente curato e, inevitabilmente, di intricato apprendimento. Affrontare le creature consente di accumulare danaro, spendibile per sbloccare gli altri due compagni e, in seguito, aumentare la vitalità e molto altro. Sconfiggere gli avversari, oltre a essere fondamentale per progredire nell’esperienza, è utile soprattutto per accrescere le possibilità di vittoria, un’implementazione che aggiunge al sistema ludico diversi approcci e modi per fronteggiare le avversità dei luoghi oscuri proposti.

ART DIRECTION DA PANICO-PAURA

Oltre al classico impasto già tipico di opere di questo tenore, vuoi non averlo un bel lato estetico che sappia anche riempire gli occhi di meraviglia? Non manca, ovviamente, anche questo. Tamarak Trail è bello da vedere, con degli effetti particellari degni di nota, coinvolgenti e sapientemente implementati, nella sua anima solidissima e convincente. Debuttare con un videogioco simile, accompagnato inoltre da una colonna sonora interessante e da un ottimo sound design, non è cosa di tutti.

Il mondo di Tamarak Trail, insomma, non è per i deboli di cuore e neppure per chi si aspetta una passeggiata di salute

A destare qualche dubbio è, tuttavia, la troppa ispirazione ai miti roguelike che fondano le loro basi sulle carte e i dadi. Nel sistema di gioco, infatti, è previsto che il giocatore cambi le facce di questi ultimi in corso d’opera, talvolta anche quando si ritrova a dover cambiarli con ulteriori; ciò permette di differenziare, di molto, l’approccio ai combattimenti, rendendo l’esperienza godibile e sfaccettata. Il mondo di Tamarak Trail, insomma, non è per i deboli di cuore e neppure per chi si aspetta una passeggiata di salute. Qui si spende tanto sangue, ma davvero tantissimo.

In Breve: Un videogioco interessante e coinvolgente che offre una storia classica e un contesto già visto in altre opere, restando comunque leale alle sue fondamenta. Tamarak Trail sa appagare, sa far arrabbiare e sì, potrebbe portarvi via intere giornate. Ottimo, no?

Piattaforma di Gioco: PC e Steam Deck.
Com’è, come gira: Ottimamente, pur non essendo verificato su Steam Deck. Procede liscio come l’olio.

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Pro

  • Game design preciso e ben implementato / Appaga e coinvolge / Davvero intricato

Contro

  • Non originalissimo / Potrebbe essere frustrante, per le prime ore
8.4

Più che buono

Cosa succede se unite letteratura, tanta curiosità e un mix letale di videogiochi indipendenti e di produzioni complesse? Otterrete Nicholas, un giovane virgulto che scrive tanto e vuole scrivere di più. Chiamato "Puji" ben prima di nascere, dovete dargli una penna per tenerlo calmo. O al massimo un pad.

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