Burnout Paradise Remastered - Recensione

PC PS4 Xbox One

Me lo ricordo bene, quel Natale del 2001. Erano usciti un sacco di bei videogiochi, ma nel mio negozio (quello dei casi umani, di cui vi ho narrato qui) ce n’era solo uno che girava sistematicamente in loop, nella postazione principale. Burnout vendette poco in assoluto, ma a Cologno Monzese non c’era un solo possessore di PlayStation 2 che non ne tenesse una copia in casa: sono ancora oggi convinto che Acclaim mi debba un casino di soldi per la pubblicità disinteressata al suo gioco, non fosse – ahimè! – che è fallita male qualche anno dopo e ora non sono più titolato per esigere alcunché. Per molti il capitolo migliore della serie resta Burnout Takedown, ma nel mio piccolo e ingenuo cuore di pilota è Burnout Paradise quello che, a oggi, stanzia in cima alla mia personalissima classifica dei titoli di corse arcade più belli di sempre, ancor più di mostri sacri come Out Run o Need For Speed. L’originale l’ho spolpato in lungo e in largo come poche volte mi è capitato di fare con un videogioco, ed è quindi con somma gioia ed entusiasmo che ho accolto nella mia PlayStation 4 Pro il codice di Burnout Paradise Remastered, al fine di vergarvi questa recensione. È stato un duro lavoro, ma qualcuno doveva pur svolgerlo, no?

QUANDO CRITERION DOMINAVA IL MONDO

Le note di Paradise City dei Guns N’ Roses, con la celebre intro arpeggiata di Slash (partorita su un pulmino, di ritorno da un concerto a San Francisco), rappresentano una garanzia emozionale non da poco, sia per chi si è giocato il titolo originale, sia per chi – spero molti di voi – vogliano oggi provare per la prima volta l’ebrezza di un videogioco di corse ignorante e spettacolare come pochi altri. Chi fosse totalmente a digiuno dell’argomento sappia che Burnout Paradise Remastered ci porta all’interno di un open world à la Forza Horizon, la cui topografia disegna una sorta di Los Angeles sui generis, con tanto di zona marittima e scollinamenti assortiti ove dare sfogo alle nostre velleità di mostri del volante. Ogni incrocio ospita un evento diverso (ce ne sono ben 120!), mentre il peregrinare liberamente per la mappa ci permette di raccogliere tutti i collezionabili del caso, per lo più incarnati in cancelli da abbattere o cartelloni da distruggere. Insomma, si gira amabilmente per Paradise City, si corre, si cercano improbabili scorciatoie, si amplia il proprio garage e si sfasciano auto e moto (le nostre e quelle degli avversari) come se non ci fosse un domani, con un gusto ignorante che pochi altri videogiochi sulla Terra sono in grado di regalare. Peraltro, il passaggio tra offline e le varie modalità online è sostanzialmente indolore e avviene nel giro di un amen.

Burnout Paradise Remastered ci porta all’interno di un open world à la Forza Horizon

Purtroppo, c’è da sottolineare come il gioiellino di Criterion non sia invecchiato benissimo in almeno un paio di aspetti. Ci sono cose che nel 2008 ci facevamo passare serenamente per buone, ma che due lustri dopo suonano eccessivamente anacronistiche per non far storcere un po’ il naso. Ad esempio, non esiste alcun tipo di viaggio rapido, ergo tocca mettersi di buzzo buono e spostarsi per chilometri prima di raggiungere un determinato evento. Vero è che Burnout Paradise Remastered è un titolo che, per sua natura, istiga all’esplorazione e al girovagare anche solo per il gusto di farlo, ma non si capisce perché non concedere – alla bisogna e facoltativamente – l’opportunità di teletrasportarsi in un luogo specifico o financo di utilizzare un GPS. Ho anche ingenuamente sperato che gli sviluppatori mi facessero il regalo di una visuale “da cofano”, e invece tocca fare affidamento alle sole due già presenti nel titolo originale, quella esterna (stranamente ottima anche per chi, come me, preferisce giocare in altro modo) e quella frontale, invero un po’ troppo vicina all’asfalto. Burnout Paradise Remastered è, quindi, un pigro rimodernamento tecnico del gioco che fu: un peccato, per certi versi, perché sarebbero bastati davvero pochi ritocchi per trascinarlo di peso nel 2018 anche dal punto di vista della fruizione.

TAKE ME DOWN TO THE PARADISE CITY

Ho giocato a Burnout Paradise Remastered in versione PlayStation 4 Pro su un OLED 4K, e devo dire di essere rimasto particolarmente imbellito dal lavoro di cesello tecnico operato dal team di sviluppo capitanato da Chris Roberts e Paul Ross di Stellar Entertainment, due ex Criterion che avevano già partorito il titolo primordiale. Certo, alcune remastered (penso a The Last of Us e al recente Shadow of the Colossus) ci hanno donato un impatto maggiore rispetto al materiale originale, ma anche Burnout Paradise Remastered si difende tutto sommato bene da questo punto di vista.

burnout paradise remastered recensioneQuello che conta, comunque, c’è. La pulizia e la chiarezza dell’immagine sono garantite sia in Full HD, sia in presenza di un pannello 4K. Il frame rate è poi graniticamente ancorato ai 60 fps e non ha mai un tentennamento, nemmeno minimo: un fatto assai positivo, specie se guardiamo al genere cui l’opera appartiene. Insomma, Burnout Paradise Remastered non è solo un gran bel giocare, ma è anche un bel vedere, e di questo c’è da esserne più che soddisfatti.

Burnout Paradise Remastered è un titolo che, per sua natura, istiga all’esplorazione e al girovagare anche solo per il gusto di farlo

Concludo segnalandovi che – come annunciato – questa edizione contiene tutti i DLC aggiunti nel tempo da Electronic Arts e da Criterion, tra cui le già citate motociclette e il ciclo giorno/notte, oltre al resto del cucuzzaro, compreso l’ultimo contenuto aggiuntivo Big Surf Island, che ha fatto capolino sugli store digitali nell’estate del 2009. Come era lecito sperare, è stata mantenuta inalterata la clamorosa tracklist che compone la colonna sonora, la quale non si limita alla già citata Paradise City di Axl Rose e compagni, ma sciorina in morbidezza anche brani di Alice In Chains, Faith No More, Avril Lavigne e Soundgarden, oltre a quelli di molti altri pregiati artisti della nota. Bene così.

Burnout Paradise è un gioco invecchiato benissimo per molti versi, e tuttavia malino per (pochi) altri. La qui presente edizione è una remastered “pura”, nel senso letterale del termine: niente aggiustamenti o aggiunte al gameplay, ma solo un porting tecnico ben riuscito, capace di aggiornare la veste grafica e di donare al gioco quei 60 fps granitici che tanto si “sentono” quando ci si lancia a cannone lungo le strade di Paradise City. Si fatica un po’, quindi, a prendere per buone certe dinamiche fuori tempo, come l’assenza del viaggio veloce per spostarsi da una parte all’altra della città senza farsi chilometri di strada; ciò detto, l’ignoranza caciarona e adrenalinica del gioco del 2008 non ha perso una virgola della sua potenza originale, a riprova che il lavoro di Criterion era stato svolto davvero nel migliore dei modi. Prosit.

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Pro

  • Adrenalinico e spassoso, oggi come allora.
  • Ottimo porting tecnico, coi 60 fps come fiore all’occhiello della produzione.
  • Una vagonata di cose da fare, anche online.

Contro

  • Alcune scelte di gameplay del 2008 risultano oggi un po’ anacronistiche (e abbassano il voto).
  • Datemi una visuale da cofano, santa polenta!
8.5

Più che buono

Detto, fatto, un po' matto. Il Kikko redazionale passa per vecchio e stanco, ma è quello che porterà un fiore, un mouse e una tastiera sulle tombe di tutti gli altri loschi figuri che gravitano per le nebbiose vie di TGM.

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