La devastazione mentale che ancora mi attanaglia il cervello, risultato del difficile assedio che l’altra notte mi ha fatto fare non le 5, non le 6 ma addirittura le 7 del mattino, ben rappresenta la passione con cui ho affrontato la conturbante sostanza di Kingdom Come: Deliverance, “gioco della vita” di Daniel Vàvra e del suo indomito gruppo di sviluppatori (per quanto di titoli belli ne abbia già partoriti). Ho affrontato quel momento di gioco forse prematuramente, considerati i tempi infami della recensione – a fronte di un titolo che può anche agevolmente superare le 100 ore – con un eroe evidentemente non ancora pronto ad affacciarsi alla sorvegliatissima roccaforte Cumana.
Scrivo con la devastazione mentale di un assedio che l’altra notte mi ha fatto fare non le 5, non le 6 ma addirittura le 7 del mattino
Questo è solo il preambolo dell’analisi, a cui devo aggiungere un dettaglio importantissimo: tra ieri e oggi, nel giorno della pubblicazione, sul client di Kingdom Come: Deliverance è piovuto un mega aggiornamento da 23 GB, che potrebbe andare a correggere anche i dettagli meno edificanti che, tra una descrizione e l’altra, non potrò mancare di segnalarvi in questa accorata recensione. E ora via, ché la vita di Henry merita ben altre parole di partecipazione emotiva, nel fango e nel sangue del Regno di Boemia all’inizio del quindicesimo secolo.
RACCONTO E SIMULAZIONE
La prima cosa che ho premura di dire è che, in termini di risultato, Kingdom Come: Deliverance corrisponde a ciò che Vàvra ha più volte dichiarato, ovvero una sorta di unione ragionata, seppure nell’apparente inconciliabilità, fra i concept di Operation Flashpoint (nel team di Warhorse c’è anche Viktor Bocan, lead designer del “papà” di ArmA) e quello amatissimo e grondante di trama di Mafia: The City of Lost Heaven, con cui lo stesso game designer ceco ha inciso per sempre il suo nome nell’Olimpo del videoludo. Un’affermazione del genere, però, va spiegata con dovizia di particolari, pur rimanendo nel campo delle idee astratte: in qualche modo, è come se la storia di Henry, del suo ruolo (inventato) nella (vera) lotta quattrocentesca per il potere nel Regno di Boemia, il racconto dei suoi amori e delle sue amicizie, e pure le colossali sbronze con prelati e conturbanti streghe (piccoli spoiler, lo so, ma servono per introdurre l’atmosfera medievale e mantengono, comunque, il valore della scelta, fra le centinaia che possiamo operare durante la trama), siano inseriti in un rigoroso schema di simulazione, apparentemente ARPG ma in realtà votato al dettaglio realistico, più che a una canonica crescita di ruolo.
La storia (inventata) di Herny, così come il suo ruolo nel (vero) Regno di Boemia del 1400, sono inseriti in un rigoroso schema di simulazione
Henry, tuttavia, non è un eroe epico capace fin da subito di gesta eroiche, e le difficoltà del combattimento sono le prime con cui si dovrà faticosamente confrontare. Kingdom Come: Deliverance, di base, prevede una serie di parate e colpi direzionali che può “nominalmente” ricordare For Honor, ma è in realtà colmo di dettagli che riguardano un po’ tutto, dalle tempistiche delle parate alle complicate finte e contrattacchi, fino a un’IA avversaria che, almeno da questo punto di vista, concede ben poche semplificazioni alla reazione del giocatore, almeno se approcciata frontalmente. Già, perché quando sarete nel cuore di una vera battaglia, le stoccate da tergo saranno una delle frequenti regole e necessità di un abbattimento veloce, e tanti saluti all’eleganza e alla sportività dei cavalieri.
FABBRI, FANTI E LETTERATI
In termini di crescita del personaggio, i metodi principali sono due ma rispondono allo stesso criterio: ci saranno sempre dei maestri, per le armi, le doti di cavallerizzo, le arti del fabbro o l’alchimia (presente e ben sviluppata, come unico e verosimile elemento ponte verso il fantasy), ma ogni cosa verrà sottoposta al continuo utilizzo di ognuna di queste pratiche, con i livelli che scorreranno automaticamente e nessun punto da spendere su abilità o attributi; casomai, una certa classicità da RPG deriva dall’articolata schermata inerente armi e abbigliamento, composta di 20 caselle in cui potrete allocare bianche brache, camicie imbottite, cuffiotti decorati, armi e pezzi di armature che componevano i complessi strati di un cittadino/fante del quindicesimo secolo.
I livelli scorrono sull’onda della simulazione, senza nessun punto da allocare su abilità o attributi
In tutto questo troverete tante cose irrisolte o imprecise, che nemmeno il gigantesco aggiornamento di cui sopra potrà risolvere del tutto: movimenti un po’ meccanici dei PNG, fin troppo facili da aggirare per i propri vantaggi (a volte, per dirne una, basta svegliarli per rubargli il letto come se niente fosse), borseggi e azioni di scassinatura alquanto elementari e imprecisi, ottimizzazioni selvagge sui poligoni durante le scene di massa, caricamenti troppo lunghi o addirittura dialoghi che, seppur gonfi di scelte “caratteriali”, nelle quest più importanti perdono quasi completamente il loro rigore, permettendoci di ripetere la conversazione fino all’opzione corretta. Poi, beh, ho addirittura assistito a locandiere senza testa e a valorose armate che si incastravano tristemente davanti a mura o cumuli di vegetazione, ma queste sono cose che abbiamo visto anche in opere ben più blasonate, senza che i voti ne risentissero più di tanto, ovviamente a patto che l’insieme risultasse maestoso.
L’investigazione riveste un ruolo forte, come punto di contatto verso un’opera, Il Nome della Rosa, che difficilmente non verrà in mente ai giocatori
E poi, certo, arriverete anche al momento degli assalti con decine di cavalieri armati di tutto punto, di grandissimo spettacolo e sanguinoso godimento, ma potrete anche rinunciarvi scegliendo le vie del letterato (uno dei maestri è preposto anche a questo) e andare a visitare, a distanza di ore, il massacro a cui non avrete partecipato, e che comunque non vi impedirà di avere un vostro preciso ruolo all’interno di eventi che, qualsiasi siano le vostre decisioni, riprodurranno fedelmente l’esito delle vicende storiche, il risultato delle grandi battaglie e la morfologia politica del Regno di Boemia alla fine del racconto. Una storia eccellente, che mi ha avvolto senza troppe riserve e che decido di premiare oltre la sua qualità formale e tecnica, facendo vincere le incredibili emozioni sulla fredda sostanza dell’analisi aritmetica.
Kingdom Come: Deliverance mi ha donato un livello di immersione per certi versi imprevedibile, e che nemmeno le sue tante imperfezioni sono riuscite a sminuire. D’altra parte, nessuno può impedire ai giocatori di scomodare l’unico paragone che, nonostante l’assenza di elementi fantasy, ha senso tirare in ballo: come nella serie di The Witcher abbiamo un personaggio unico e fortemente caratterizzato, una marcata maturità dei contenuti, tante scelte da compiere e un racconto adulto e ben scritto. Chiaro è che il gioco di Vàvra e Warhorse esce con le ossa rotte in un sacco di fondamentali, dalla prestanza visiva al frame rate, dalla gestione delle scelte all’incompiutezza di alcune ambizioni, inseguite ma talvolta lasciate a metà via. Allo stesso tempo, però, le battaglie di Kingdom Come: Deliverance sono qualcosa di mai visto e lo stesso si può dire, osservandolo con fare diverso (come si confà a un’opera realistica), del tipo di coinvolgimento che solo una simulazione del genere è in grado di restituire, per quanto condita e coreografata da un delizioso racconto medievale.