The Last Worker – Recensione

PC PS5 Switch Xbox Series X

All work and no play makes Jack a dull boy, all work and no play makes Jack a dull boy, all work and no play makes Jack a dull boy… ladies and gentlemen, ecco The Last Worker.

Sviluppatore / Publisher: Wolf & Wood, Oiffy / Wired Productions Prezzo: € 19.99 Localizzazione: Testi Multiplayer: Assente PEGI: 16 Disponibile su: PC (Steam, Epic Games Store, GOG), PS5, Xbox Series X|S, Switch, Oculus Data di uscita: Già disponibile

Uno degli slogan più forti e famosi del movimento operaio recitava così: “Lavorare meno, lavorare tutti”. Parliamo di tanti anni fa, addirittura ben prima dell’uscita del primo numero di The Games Machine (sapete che è in arrivo il #400, vero?) e credo ve ne siate accorti: le cose non sono andate esattamente così.

Ma come si è passati dalla speranza di lavorare tutti a un mondo in cui è rimasto un solo lavoratore?

KURT, L’ULTIMO LAVORATORE

Oggi però non è il momento di raccontare come l’umanità si sia incamminata verso questo futuro (d’altra parte, se guardate fuori dalla finestra non è il sol dell’avvenire quel che vedete incombere su di noi), bensì la storia di Kurt, l’ultimo lavoratore rimasto nella mastodontica Jungle. Se state pensando all’Amazzonia, siete fuori strada: la Jungle è tutt’altra cosa, ovvero una gigantesca mega-corporation specializzata in consegne che, nel corso del tempo, ha sostituito la propria forza lavoro umana con più efficienti robot, instancabili e meno propensi a pretendere pretestuosi privilegi come le pause per andare al bagno. Kurt, venticinquenne senza particolari ambizioni, si è trovato così a essere l’ultimo lavoratore umano di Jungle: disilluso, sconsolato, rassegnato.

KURT, VENTICINQUENNE SENZA PARTICOLARI AMBIZIONI, SI È TROVATO COSÌ A ESSERE L’ULTIMO LAVORATORE UMANO DI JUNGLE: DISILLUSO, SCONSOLATO, RASSEGNATO

La prima oretta di gioco (delle cinque-sei complessive) ci fa provare l’ebrezza della tipica giornata di lavoro di Kurt, al comando di un esoscheletro fluttuante attraverso il quale può muoversi in sei direzioni, spaziando anche in alto e in basso lungo le imponenti file di scaffali che compongono l’azienda, la cui estensione a occhio è misurabile in chilometri quadri. Attraverso una pistola gravitazionale Kurt deve individuare il pacco che gli è stato assegnato, recuperarlo e valutarlo: se conforme può partire per la sua destinazione, se qualcosa invece è fuori posto (peso? Misure? Danni?) deve essere smaltito.

THE LAST WORKER NON È THE LAST ACTION HERO

Questo tranquillo e ben poco emozionante tran tran si interrompe quando Kurt viene intercettato dalla resistenza, trovando così un modo per incanalare e sfogare la sua frustrazione. L’ingresso in scena di una fazione di sabotatori introduce nuove meccaniche nella routine di Kurt che vanno a insinuarsi tra le vecchie, senza sovrascriverle: l’ultimo lavoratore umano deve ancora svolgere tutti i suoi compiti, rispettando le tempistiche da tabella per non essere licenziato (causando così un prematuro game over), ma nel frattempo deve anche infiltrarsi nel cuore più segreto di Jungle, sfuggendo allo sguardo dei robot di controllo.

The Last Worker

Kurt è pronto per un nuovo giorno di sabotag… ehm, lavoro alla Jungle.

L’intento satirico di The Last Worker è evidente fin da subito e aiuta a digerire una primissima fase di gioco volutamente (?) ripetitiva, ma in grado di scimmiottare sia l’invasiva gamification del lavoro fatta di obiettivi e punteggi (Josef Jungle, il mega boss dell’azienda, definisce esploratori i… ehm, il suo lavoratore), sia la standardizzazione di tanti giochi sulla carta aperti, in cui tuttavia le missioni si riducono a una simulazione di corriere espresso declinata in salsa fantasy o sci-fi. Forse è un po’ la condanna di questi tipi di giochi (Sì, Kojima, sto parlando con te e so di attirarmi l’odio di parte della redazione. NdClod), ma anche in questa occasione sotto un’allegoria certamente interessante faticano a emergere meccaniche altrettanto soddisfacenti.

IL TASSO D’ADRENALINA È TENUTO ALTO DALLA NECESSITÀ DI INCASTRARE GLI INCARICHI DELLA RESISTENZA ALL’INTERNO DELLA ROUTINE LAVORATIVA

I primi colpevoli in questo caso sono i controlli, parecchio legnosi e poco fluidi, che finiscono per rendere molto meno divertente di quanto fosse immaginabile la navigazione in un ambiente che si estende vertiginosamente in altezza, fatto di spazi aperti e stretti cunicoli. Allo stesso modo, le sezioni stealth si risolvono in spostamenti al di fuori del rigido con visuale dei robot di sorveglianza. Il tasso d’adrenalina è tenuto alto dalla necessità di incastrare gli incarichi della resistenza all’interno di una routine lavorativa fatta di ritmi serrati e richieste stringenti, tuttavia portare a compimento le missioni di sabotaggio difficilmente rappresenta davvero una sfida e, quando il gioco inizia a farsi un po’ più duro, ecco che si intravedono i titoli di coda.

The Last Worker

Qua e là compare anche qualche puzzle.

La componente che senza dubbio si mantiene sullo stesso standard di qualità per l’intera avventura è quella artistica, rappresentata sia dal design grafico di Mick McMahon, ex illustratore della storica rivista antologica di fumetti AD 2000, sia dalla tagliente scrittura che caratterizza i dialoghi tra Kurt e il suo aiutante robotico, per altro interpretati da due ottimi doppiatori in inglese. Meno brillante invece è la scrittura in senso più ampio, con un finale che finisce per smorzare la carica sovversiva dell’incipit decisamente intrigante.

The Last Worker è un’esperienza curiosa, dotata di spunti interessanti ma anche di aspetti meno convincenti

In ogni caso, The Last Worker appare abbastanza consapevole dei suoi limiti ed è capace di non tirare troppo la corda, instillando spesso volontariamente frustrazione nel giocatore per poi fermarsi prima solcare il limite, scaricando poi la tensione con una serie di gag e easter egg perfettamente calzanti nel contesto della critica anti-capitalista in cui il gioco pare essere immerso. Nel complesso si tratta di un’esperienza curiosa, che paga forse l’originale concezione come titolo VR soprattutto nei movimenti, ma in ogni caso foriera di diversi spunti interessanti misti ad altri aspetti meno soddisfacenti. Per chiosare con la saggezza che mi contraddistingue: meglio sei ore di The Last Worker, che una giornata di lavoro.

In breve: The Last Worker è una satira tanto dell’ambiente lavorativo in questa fase del capitalismo, quanto di quei videogiochi che paiono essere più vicini al lavoro che al divertimento. Qualche difetto di troppo però rende la sua critica un po’ spuntata. Sono soprattutto i controlli a complicare le cose, rendendo poco fluida l’esplorazione degli spazi verticali. Ad essere onesti, anche le meccaniche non brillano, ma la breve durata scongiura il rischio noia. Nel complesso si tratta di una produzione interessante, artisticamente valida, a cui manca qualcosa per essere un gioco che lascia il segno.

Piattaforma di Prova: Xbox Series X
Com’è, Come Gira: The Last Worker fa il suo sporco lavoro (ehm…). La grafica in Cell shading sfoggia una buona personalità, ma non si grida al miracolo.

 

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Pro

  • Dialoghi ben scritti / Spunto intrigante / Artisticamente valido

Contro

  • Controlli rognosi / Lavorare è una brutta cosa
7

Buono

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