Terminator: Dark Fate - Defiance – Recensione

PC

Terminator: Dark Fate Defiance porta l’eterna lotta degli uomini contro le macchine in una prospettiva RTS. Un gioco dalle indubbie qualità, ma non esattamente fra i più rilassanti sul mercato…

Sviluppatore / Publisher: Slitherine / Slitherine Prezzo: 38,99€ Localizzazione: Assente Multiplayer: PvP Online PEGI: ND Disponibile Su: PC (Steam, Epic, GOG) Data di Lancio: Già disponibile

Nel prossimo futuro tira una brutta aria per l’umanità, in America e non solo; ma insomma, penso che la storia di Terminator la sappiate bene o male un po’ tutti, quindi risparmiamoci la sinossi e arriviamo al dunque.

Terminator: Dark Fate Defiance è un RTS che ci pone al comando di una gruppo di ex militari dell’esercito americano che, negli Stati Uniti ormai senza nessuna autorità centrale, devono destreggiarsi fra varie fazioni e rovinare quanto più possibile i piani delle macchine. Sembra facile? Eh, insomma.

TERMINATOR DARK FATE DEFIANCE, PARLACI DI TE

La categoria degli RTS si può dividere in due sottogeneri: quelli tradizionali, alla Age of Empires, StarCraft e Command & Conquer per intenderci, in cui a farla da principe sono la raccolta di risorse e la costruzione di una base, e quelli moderni, più orientati alla parte tattica e di controllo delle unità, come ad esempio Company of Heroes, Men of War e Wargame. Terminator: Dark Fate Defiance appartiene senza ombra di dubbio a questa seconda categoria: non ci sono edifici da costruire e basi da approntare, né nella campagna singleplayer né nelle schermaglie contro altri giocatori.

CI TROVIAMO DI FRONTE A UN RTS MODERNO, SENZA GESTIONE DELLE BASE E RACCOLTA DELLE RISORSE

Parlerò principalmente dalla campagna singleplayer, dato che è evidente che la maggior parte dello sforzo di sviluppo sia andata proprio qui; schermaglie e scontri multiplayer sono sì presenti, ma non è lì che sta la ciccia del gioco. Come accennato in apertura, ci troveremo al comando di ciò che resta di un’unità dell’esercito americano, che dopo l’ascesa di Skynet si è riorganizzato nei Founders. Founders che, a causa della poca cautela del nostro protagonista, subiscono una bella batosta da parte delle macchine e si ritrovano a dover abbandonare la loro base e farsi un nome fra le varie fazioni che popolano la desolazione degli ex Stati Uniti.

Terminator Dark Fate Defiance Recensione

Quella di Haven Base sarà una difesa molto valorosa… ma condannata alla sconfitta.

Diventa evidente fin da quasi subito che dietro Terminator: Dark Fate Defiance c’è non solo un lavoro non indifferente ma anche chiarezza di intenti. L’idea degli sviluppatori era quella di rappresentare una situazione in cui (tematicamente) la vittoria non è per niente da dare per scontata, in cui basta poco per fare una brutta fine; e questo si traduce in meccaniche di gioco più “realistiche” rispetto a quelle degli RTS più famosi. Come avevo accennato già nell’anteprima, le nostre unità hanno munizioni limitate, i veicoli si possono danneggiare, e non è anzi impossibile che le armi anticarro più efficaci trasformino uno dei nostri Humvee in una palla di fuoco in un solo colpo. In aggiunta, durante la campagna anche la gestione dell’esercito non è da dare per scontata; fra una missione e l’altra dovremo rifornirlo, riparare i veicoli danneggiati e trovare nuove reclute per le squadre di fanteria non più a pieno organico; e naturalmente dovremo tener conto anche delle scorte necessarie per poter compiere il viaggio da un luogo all’altro.

ALTRO CHE FUTURO UTOPICO!

C’è indubbiamente molta attenzione e molta cura per i dettagli per quanto riguarda i sistemi di gioco, ma devo essere onesto: la campagna di Terminator Dark Fate: Defiance, nonostante i suoi indubbi meriti, è una delle più frustranti esperienze singleplayer che mi sia trovato davanti negli ultimi anni. Mi spiego meglio: perdere unità è molto facile. La fanteria è generalmente piuttosto debole e le squadre non possono essere rinforzate sul campo di battaglia, con il risultato che quando vanno sotto organico siamo obbligati a ritirarle e tenerle al sicuro da qualche parte per il resto della missione, pena perdere non solo la squadra ma anche eventuale loro equipaggiamento.

LA CAMPAGNA NON MANCA DI PREGI, MA SA ANCHE ESSERE PARECCHIO FRUSTRANTE

Va meglio ai veicoli ma in realtà nemmeno così tanto: anche quelli più pesanti riceveranno spesso danni ai loro sottosistemi o addirittura potranno perdere membri dell’equipaggio, obbligandoci quindi a una certa cautela nel loro utilizzo. Perché è importante questo discorso? Perché la campagna ha una struttura “alla Homeworld”, in cui l’esercito che ci portiamo dietro è sempre lo stesso. Perdere un Bradley o, vivaddio, un Abrams, significa che non lo avremo più a disposizione nelle missioni successive e credetemi, non è una perdita di cui si possa facilmente fare a meno. Certo, è possibile reclutare altre unità, ma questo significa avere meno risorse da utilizzare per tenere ben rifornito il nostro esercito.

La gestione dell’esercito non va sottovalutata.

IL CONSIGLIO CHIAVE È: ABITUATEVI A SALVARE SPESSO

Per questo motivo, spesso le missioni finiscono per essere caratterizzate da un ciclo di trial & error. Capire cosa ci troviamo di fronte non è sempre facile, dato che le unità nemiche possono spararci anche dal di fuori della nebbia di guerra, e non è nemmeno detto che vengano rivelate immediatamente una volta che si trovano nel campo visivo di una delle nostre unità. Non è neanche detto che ci troveremo sempre ad avere il tempo per fare ricognizioni adeguate – il che, in linea teorica, implicherebbe mandare unità di fanteria in avanscoperta, facendole strisciare sul terreno – dato che al gioco non dispiace per niente darci obiettivi da completare entro un tempo limite. Insomma, per farla breve: abituatevi a salvare spesso.

STRESSANTE, NON BRUTTO

Non vorrei dare l’impressione che queste mie considerazioni implichino una completa bocciatura del gioco. È innegabile che dietro ci sia un lavoro non indifferente, e che ha dato i suoi risultati: al di là di quanto le abbia trovati frustranti, c’è una bella articolazione delle missioni. Ed effettivamente la struttura del gioco si presta bene a un approccio da sandbox, in cui non esiste un vero modo “giusto” di affrontare le situazioni. Anche presentazione ed effetti non sono per niente male, considerato che siamo di fronte a un titolo a medio budget. Insomma, se volete una buona esperienza ambientata nell’universo di Terminator, in Dark Fate Defiance la troverete di sicuro. Solo, tenetevi il Gaviscon a portata di mano.

In Breve: Terminator: Dark Fate Defiance continua la fortunata serie di videogiochi ispirati all’universo di Skynet e Sarah Connor, stavolta rappresentato con visuale dall’alto e strategia in tempo reale (ma che, per fortuna, possiamo mettere in pausa). Decisamente non un gioco da prendere alla leggera, però.

Piattaforma di Prova: PC
Configurazione di Prova: RTX 3060, Ryzen 3600, 16GB RAM, SSD NVMe
Com’è, Come Gira: Molto buoni gli effetti, ma la palette cromatica fra grigio e marrone non sempre aiuta con la chiarezza visiva, per quanto sia adeguata al contesto. Fatica a reggere i 60 fps, sopratutto nelle situazioni più concitate.

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Pro

  • Campagna ben articolata / Presentazione niente male / Trasmette bene l’impressione di una lotta disperata…

Contro

  • ...forse anche un po’ troppo! / Pathfinding delle unità non sempre sul pezzo / Manca di immediatezza visiva.
8

Più che buono

Dai monti del Trentino scende Marco Bortoluzzi – figurativamente, s'intende, perché per smuoverlo dal suo paese servono le cannonate. Non chiedetegli mai perché ha giocato così tanto a Dota 2.

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