Ero lì bel bello sul divano di casa che giocavo ad Uncharted 4: Fine di un Ladro per diletto (e per poi scrivere la recensione che state leggendo, s’intende), quando mia moglie è passata distrattamente da quelle parti, chiedendomi che film stessi guardando. “Ma quale film… non lo vedi che è un videogioco?”, rispondo io in pronta battuta, scocciato di essere stato interrotto sul più bello in uno dei tanti passaggi clou della storia. E dire che, dopo 22 anni (di cui 13 sotto lo stesso tetto) la ragazzetta un po’ dovrebbe capirne, e l’occhio dovrebbe ormai essere allenato a sufficienza nel cogliere le differenze tra una roba con attori veri e una no. Eppure, le è servito più di uno sguardo attento al televisore per accorgersi che sì, Uncharted 4 è “solo” un videogioco; un videogioco che, tuttavia, spinge tecnicamente PlayStation 4 al punto da rasentare, almeno a tratti, il fotorealismo. Quasi spiace che io non possa condividere con voi, qui, filmati e screenshot presi da sottoscritto in quantità industriale, ma l’embargo di queste cose ha una collocazione temporale differente rispetto alla recensione scritta. Non temete, comunque: la videorecensione casereccia (quella che non poggia sui filmati preconfezionati, forniti da Sony per l’occasione) e una sincera galleria di immagini catturate via Photo Mode sono già pronte per voi, e vi verranno donate a tempo debito.
Per ora, quindi, non potete fare altro che fidarvi di me, quando vi dico che Uncharted 4 è la cosa più clamorosa che abbia mai visto su console, almeno sotto il profilo meramente tecnico; non so quali sostanze assumano in Naughty Dog per arrivare a segnare costantemente il passo, ma è un fatto che – ancora una volta – l’asticella del limite sia stata ulteriormente alzata, e che le altre software house là fuori dovranno sudare parecchio per avvicinarsi a cotanta meraviglia. La campagna di Uncharted 4 gira a 1080p e a 30 fps granitici (con micro-tentennamenti solo in un paio di occasioni), mentre i 60 fps sono relegati al solo multiplayer, che si avvale tuttavia di una risoluzione inferiore (ma sfido chiunque a rendersene conto, mentre si sta fraggando come se non ci fosse un domani). Al netto del fatto che la mia console, in certi momenti, sembrava pronta al decollo per quanto la ventola tentasse di tenere a bada lo sforzo dell’hardware, vien quasi da chiedersi se la probabile PlayStation 4.5 Neo non servirà più come contentino agli sviluppatori pigri, che essere invece figlia di una reale necessità di mercato. Insomma… dio o chi per lui benedica Andy Gavin e Jason Rubin quando hanno iniziato quest’avventura chiamata Naughty Dog: senza il loro spirito imprenditoriale oggi non avremmo tra le mani il videogioco più figo da vedere di sempre, nonché uno dei migliori action adventure su cui abbia mai messo le mani da quando, ragazzino imberbe, ho cominciato a fare questo strano mestiere.
NATHAN E I SUOI FRATELLI
I prodromi della storia di Uncharted 4 dovrebbero conoscerli anche i sassi, ma per i più distratti giova un breve ripassino. Nathan Drake viene coinvolto dal fratello Sam (che pare il cugino di Prandelli) alla ricerca del tesoro nascosto del pirata Henry Every (un filibustiere realmente esistito, di cui trovate informazioni qui), così da onorare un debito contratto nei confronti di un losco figuro che vuole fargli la pelle. Naturalmente, nel giro di un amen le cose finiscono a donnine di facili costumi, e il dinamico duo si trova coinvolto in una serie a cascata di eventi rocamboleschi, come peraltro vuole la serie. Non mancano, ovviamente, le attese comparsate del buon vecchio Victor Sullivan e della graziosissima Elena, sui cui ruoli nella vicenda sorvolo per evitare inopportuni spoiler. E anzi, per non rovinarvi nulla della storia, se vogliamo un po’ scontata ma comunque splendidamente raccontata attraverso cutscene e fasi di gameplay, mi fermo qui e comincio invece a discutere delle novità introdotte da Naughty Dog in Uncharted 4, che possono essere riassunte con la frase “poche ma buone”.
La prima cosa da dire è che le cose nuove non modificano il DNA della serie, il quale resta indissolubilmente ancorato al concetto più puro dell’espressione “action adventure” (che ormai è talmente abusata da andar bene per qualsiasi cosa, anche per un simulatore di melanzana). Seguendo un po’ la filosofia del reboot di Tomb Raider e del suo diretto seguito, alcuni degli ambienti di Uncharted 4 sono mappe ad ampio respiro, pur mantenendo, almeno in linea generale, la tipica struttura a canalone. Da metà avventura in avanti, quindi, si ha a che fare con zone sufficientemente ampie da stimolare l’esplorazione, fosse anche solo per raccogliere la quantità notevole di collezionabili che popolano ogni angolo del gioco; a tal proposito, nel caso ve ne perdiate alcuni per strada, sappiate che una volta terminata la prima run è possibile rigiocare uno qualsiasi dei capitoli, senza dover ripercorrere da capo tutta la campagna. Molto spesso veniamo chiamati alla risoluzione di piccoli enigmi ambientali, che richiamano in misura minore le tombe del già citato Tomb Raider, mentre l’avventura principale alterna puzzle un filo più complessi (nulla che una mente sveglia non possa risolvere con un minimo di osservazione e logica, eh) alle immancabili sparatorie, laddove fare sfoggio delle capacità di mira di Nathan grazie a un cospicuo numero di armi da recuperare direttamente dai corpi dei nemici. In altre occasioni, invece, tocca sfruttare le doti atletiche del nostro belloccio per proseguire lungo il percorso, dedicandosi all’arte del free climbing o agganciando il nuovo rampino alle sporgenze sensibili dello scenario. Uncharted, insomma.
Il DNA della serie resta indissolubilmente ancorato al concetto più puro dell’espressione “action adventure”
Una cosa che ho particolarmente apprezzato è la tendenza a spingere sulla componente stealth, presente certo anche nei precedenti episodi della serie, ma che in Uncharted 4 viene proposta con una chiave di lettura diversa. I nemici possono essere “taggati” come avviene in altri titoli (Far Cry, ad esempio) così che si possa avere percezione della loro posizione anche dietro gli impedimenti visivi; allo stesso modo, sopra la loro testa si trova un indicatore di ingaggio che ci segnala il loro status di allarme nei nostri confronti. Va da sé che la via dello stealth è assolutamente quella preferibile, almeno in prima battuta, un po’ perché il numero di nemici, a prescindere da un’Intelligenza Artificiale decorosa ma non brillantissima, è spesso soverchiante la sola presenza sulla scena di Nathan e Sam (o Elena e Victor, nei momenti in cui sono della partita), e un po’ perché il level design ci mette a disposizione parecchi strumenti in tal senso, come la possibilità di nascondersi nella vegetazione e di operare quindi le più classiche tattiche di aggiramento. Non mancano, infine, un paio di occasioni in cui si può guidare direttamente un fuoristrada, che deve essere usato non solo per esplorare al meglio gli scenari, ma anche per risolvere alcuni piccoli puzzle ambientali, per lo più legati alla presenza di un verricello posizionato sul paraurti anteriore della vettura.
UN PIRATA TUTTO NERO
Uncharted 4, come detto, porta il genere degli action adventure su un piano mai toccato prima da altri prodotti similari, e tra questi includo anche i tre predecessori. La cosa incredibile è che ciò avviene senza inventare nulla, ma semplicemente portando all’estremo i tropi che ne caratterizzano l’essenza, e se vogliamo addirittura copiando quanto fatto da altre software house. È comunque nel modo di raccontare la storia e di tratteggiare i suoi protagonisti che Uncharted 4 spolvera il gradino più alto del podio e ci si siede sopra, guardando tutti dall’alto; in questo, nonostante l’approccio necessariamente più scanzonato, ha sicuramente influito l’esperienza accumulata da Naughty Dog nello sviluppo di The Last of Us, da cui Uncharted 4 assorbe la capacità di rendere empatica ogni situazione, trascinando il giocatore “dentro” il mondo di Nathan e non lasciandogli la mano fino al raggiungimento dei titoli di coda.
È nel modo di raccontare la storia e di tratteggiare i suoi protagonisti che Uncharted 4 spolvera il gradino più alto del podio e ci si siede sopra
L’immersione è tale che quando ci si imbatte in qualche piccolo bug è come se venissimo presi a sberle e riportati temporaneamente alla realtà. Durante tutta l’avventura questa cosa mi è capitata tre volte: nella prima Sam, con la sua presenza fisica, ha impedito a Nathan di proseguire lungo un cornicione, costringendomi a ricaricare il checkpoint; nella seconda la lettura di un SMS (la cui comprensione è importante per la risoluzione di un enigma) era inficiata dalla presenza di un testo in inglese, un fatto straniante in un prodotto dove tutto è tradotto e doppiato più che bene; infine, nella terza mi sono ritrovato in una cutscene importante senza audio di alcun tipo, e a poco è servito rilanciare il filmato attivando i sottotitoli, perché anche quelli si erano momentaneamente dati alla macchia. Tre manchevolezze in quindici ore di gioco sono un nonnulla, ma emergono e restano alla mente proprio come contrasto all’odore di perfezione che permea l’intera produzione.
Semmai, a voler trovare un difetto “vero”, c’è da dire che ho trovato eccessiva l’insistenza nel reiterare alcune dinamiche di gioco. In alcuni momenti ho avuto la percezione che Naughty Dog mi stesse allungando il brodo, in particolare durante certi passaggi in cui Nathan deve saltare da un appiglio all’altro alla ricerca di una via per proseguire. Allo stesso modo, alcune sparatorie forzano troppo la mano sul vomitare nemici a ondate, tanto che in un paio di occasioni mi sono ritrovato a chiedermi “ma quando accidenti finiscono?”. Due difettucci, questi, che hanno fatto capolino anche in altri episodi della serie, e sui quali gli habitué di Uncharted sapranno chiudere un occhio senza batter ciglio. Poca roba, insomma, che davvero non può essere presa come elemento determinante per ritoccare al ribasso un giudizio che non può che essere entusiasta, almeno da parte mia.
Giù il cappello. Uncharted 4 è senza alcun dubbio il miglior titolo partorito da Naughty Dog, nonché il videogioco graficamente più sorprendente che mi sia capitato tra le mani in 20 e passa anni di onorata carriera. Al di là dei muscoli, però, quello che sorprende è l’equilibrio perfetto tra narrazione, carisma dei personaggi, action ed esplorazione: tutte cose che già caratterizzano i predecessori, ma che qui sublimano grazie in parte alle novità introdotte (poche ma buone, come dicevo nel corpo della recensione), e in parte alla capacità di Naughty Dog nel pompare al massimo il fattore empatia, non solo nei confronti del protagonista principale. Piccoli difettucci ci sono e sarebbe inutile negarlo, più che alto incarnati in un paio di bug minori e in alcuni momenti eccessivamente prolissi; tuttavia, tenerne troppo conto, nel giudizio finale, sarebbe mortificante nei confronti del 99% del resto, che è invece roba da leccarsi i baffi fino a perdere l’uso della lingua. Brava Naughty Dog… e ora sotto con The Last of Us 2!